venerdì 8 febbraio 2019

Corriere 8.2.19
Il caso
«Mancano 460 mila euro»
Il Pd in rosso dà l’ultimatum ai parlamentari morosi
Tra chi non versa i contributi anche Delrio, Orlando e Richetti
La parola
Il decreto ingiuntivo è  il provvedimento attraverso il quale il giudice, su richiesta del titolare di un credito, intima al debitore di corrispondere una somma di denaro o di consegnare un bene mobile, entro il termine di 40 giorni dalla notifica
Lo scorso anno il Pd chiese 60 provvedimenti nei confronti di altrettanti parlamentari morosi.
di Claudio Bozza


Con le casse in profondo rosso, le spese coperte a fatica per organizzare le primarie e un grosso interrogativo su come finanziare la campagna per le imminenti elezioni europee. La vita del Pd, in attesa di una scossa dal nuovo segretario, sembra appesa a un filo. Perché, ormai, sono saltate anche le regole interne più elementari. Un esempio? Dall’inizio della legislatura, decine tra deputati e senatori hanno versato solo qualche spicciolo o addirittura niente nelle casse del partito. E al Nazareno, in meno di dieci mesi, hanno contato un ammanco di circa 460 mila euro. Ogni eletto, secondo il regolamento dei democratici, è tenuto a versare ogni mese al partito 1.500 euro, oltre ai 10 mila euro una tantum al momento dell’elezione. Cifre sostenibili, se si pensa che gli stipendi oscillano tra i 12 e i 15 mila euro al mese, a seconda dei casi. Nella lista dei morosi (8-10 mila euro a testa) ci sono nomi importanti: il capogruppo alla Camera Graziano Delrio, con colleghi come l’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando, Antonello Giacomelli, Enza Bruno Bossio, Maria Chiara Gadda, Chiara Gribaudo. Mentre tra i senatori risultano: Matteo Richetti, braccio destro dell’aspirante segretario Maurizio Martina; poi Ernesto Magorno, Daniele Manca, Franco Mirabelli.
L’elenco sarebbe assai più lungo, ma per ora sono questi i nomi che filtrano dal Nazareno, spinti anche dall’esasperazione di alcuni dei dipendenti del partito costretti alla cassa integrazione. Parte dei contributi che i parlamentari dovrebbero versare sarebbero infatti destinati ad un fondo di 300 mila euro, a sostegno dei lavoratori dem, rimasto però vuoto per metà.
«Il partito è come imploso, il mancato versamento dei contributi è il segno che ormai è venuta a mancare anche la solidarietà verso questa casa, che era di tutti», si sfoga nei corridoi uno dei 171 dipendenti rimasti. Una situazione tale, che il tesoriere Francesco Bonifazi ha inviato una lunga lettera a Delrio, al capogruppo al Senato Andrea Marcucci e al presidente del partito Matteo Orfini: «Vi scrivo, perché si è venuta a creare una situazione incresciosa, ingiustificabile, per cui devo trovare una soluzione e dunque vi chiedo aiuto — si legge —. Se sul fronte del 2 per mille siamo di gran lunga il miglior partito, con una quota del 52% delle opzioni effettuate, sul fronte delle contribuzioni dei nostri colleghi raggiungiamo risultati che con un eufemismo definirei grotteschi». In meno di un anno, le morosità hanno sfiorato il mezzo milione. Il quadro economico sembra così delicato, che anche spendere i circa 600 mila euro per organizzare i gazebo per le primarie crea difficoltà. Non è la prima volta, negli ultimi tre anni, che i dem si trovano a fronteggiare ammanchi del genere. Nel giugno scorso, dopo aver chiuso il bilancio, dal Nazareno partirono 60 decreti ingiuntivi verso altrettanti parlamentari. C’era da recuperare oltre un milione e mezzo: in cima alla lista, poi condannato dal giudice a rifondere oltre 83 mila euro, c’era l’ex presidente del Senato Pietro Grasso.