La Stampa 8.2.19
La garibaldina dimenticata
Rosalia sedotta e abbandonata da Crispi
di Mirella Serri
La
giovane donna con una gran massa di capelli neri, connotata da una
silhouette piuttosto vistosa, si infilò proditoriamente nella stanza
delle riunioni della secentesca Villa Spinola di Quarto dove era
insediato il quartier generale di Giuseppe Garibaldi. La 38enne Rose
Montmasson riuscì a restare a tu per tu con il condottiero e ottenne il
permesso di imbarcarsi sul piroscafo «Piemonte». Fu così l’unica
esponente del gentil sesso che viaggiò verso la Sicilia insieme ai
volontari della celebre spedizione dei Mille.
Abbigliata con una
camiciona rosso fuoco e larghi pantaloni, sbarcò a Marsala, curò i
feriti e imbracciò il fucile nella battaglia di Calatafimi. Venne
ribattezzata «L’Angelo dei Mille», come recita il sottotitolo della
biografia che le dedica lo studioso Marco Ferrari (in uscita da
Mondadori). Questa documentata storia della partecipazione di Rose
all’impresa dell’Eroe dei due mondi rende finalmente giustizia a
Rosalia, come fu chiamata in Sicilia. Il suo ruolo nelle lotte
risorgimentali è sempre stato ignorato o sottovalutato: moglie di
Francesco Crispi, ideatore della spedizione dei Mille, quattro volte
presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e ministro dell’Interno
dopo l’Unità, la Montmasson, rischiando l’arresto e pesanti condanne,
ebbe incarichi di gran rilievo nella cospirazione anti-borbonica.
Come
mai, dunque, il suo contributo alla storica avventura è stato
dimenticato? Rose/Rosalia era nata in Alta Savoia in una modesta
famiglia di agricoltori. Bella, ironica, priva di cultura e dalla
battuta pronta, si era trasferita a Marsiglia dove faceva la lavandaia,
la ricamatrice e la stiratrice. Nella città portuale perse la testa per
l’esule, che aveva cinque anni meno di lei, in fuga dal Regno delle due
Sicilie. Il futuro statista, che attivò importanti riforme sociali
(abolì la pena di morte e la libertà di sciopero tramite il codice
Zanardelli) e si distinse anche per l’estrema violenza contro agli
anarchici e i socialisti, faticava a sbarcare il lunario.
Grazie
alla sua donna che sgobbava tutto il giorno si dedicò a tempo pieno
all’attività politica e sovversiva. Nel 1855, dopo essere convolata a
nozze con Ciccio, soprannome di Francesco, Rosalia s’impegnò
direttamente nella lotta: fu destinata da Giuseppe Mazzini, di cui
Crispi a Londra era il collaboratore più fidato, a missioni di grande
responsabilità. Travestita da popolana in un grosso cesto portava
notizie e quattrini agli affiliati alla carboneria in Francia. Nel marzo
1860, raggiunse Messina a bordo di un vapore postale e informò i
patrioti siciliani dell’imminente sbarco di Rosolino Pilo e Giovanni
Corrao. Proseguì per Malta per avvertire i rifugiati italiani della
spedizione e, sempre con il postale, tornò a Genova e si unì ai Mille.
Garibaldi a Napoli, di fronte a una gran folla, le andò incontro
esclamando: «È la sola donna che fosse allora nell’armata e in mezzo al
fuoco, e sul campo di battaglia».
Come mai la sua notorietà andò
progressivamente declinando? All’insaputa di Rosalia, Crispi aveva
sempre coltivato un’intensa vita sentimentale. A 20 anni era già sposato
ma perse la moglie e i due figli piccoli. Dopo pochissimo tempo
intrecciò una relazione con Felicita Vella dalla quale nacque Tommaso.
Quando Felicita, appena arrivata dalla lontana Sicilia, bussò
all’abitazione di via Vanchiglia a Torino, le due signore vennero alle
mani, arrivò la polizia da Borgo Po e la situazione divenne di pubblico
dominio. Rosalia, che ignorava il passato del compagno, fu choccata da
quell’apparizione. Crispi, con metodi poco urbani, cercò di far
espellere dal Piemonte la sua ex partner. Dopo la nascita del Regno
d’Italia, Ciccio, obtorto collo, mise a parte la moglie di un altro
segreto: aveva messo incinta Luisa Del Testa, suo flirt occasionale.
Quest’ultima minacciava di sollevare uno scandalo se non avesse
riconosciuto il neonato. E non basta. Il ministro si era invaghito di
Lina Barbagallo più giovane di lui di 20 anni e di nobile famiglia
leccese.
Rosalia cominciò a bere e a riempire la casa di animali.
Desideroso di un nuovo matrimonio con Lina, Crispi dichiarò che le nozze
con Rosalia celebrate a Malta non erano valide. Il potente politico,
prima mazziniano e poi monarchico, sottovalutò i suoi avversari che
soffiarono sul fuoco dello scandalo. Il giornale Il piccolo portò alla
luce la vicenda del «ministro bigamo». Scoppiò un caso clamoroso che
divise l’Italia. Rosalia che, dopo essersi separata, viveva da sola con
un numero incredibile di gatti, si rifiutò di parlare e di commentare
con i giornalisti. I giudici su pressione del marito fedifrago
accertarono l’irregolarità delle nozze (la sentenza successivamente
risultò infondata e il matrimonio considerato valido). La carriera
politica di Crispi ebbe un momento di stallo e lui fece di tutto per
affossare e infangare l’immagine di Rosalia.
Come scrisse Arturo
Carlo Jemolo, Crispi si rivelò «un uomo di potere sdegnoso della legge».
Non tutti dimenticarono però le tribolazioni della povera Rosalia. La
regina Margherita di Savoia, che aveva conosciuto e apprezzato Rosalia,
chiese di avere in visione la copia dell’atto di nozze. E quando il
ministro le si avvicinò si rifiutò pubblicamente di stringergli la mano.
La testa coronata si mostrò sensibile e accorta e aiutò l’ex lavandaia a
ristabilire la verità: non poté però fare di più per l’eroina
dimenticata del Risorgimento.