La Stampa 7.2.19
Italiani in fuga, all’estero sono 5,5 milioni
Adesso partono anche famiglie e over 60
di Francesca Sforza
In
Europa è in atto un flusso migratorio di dimensioni paragonabili a
quello successivo alla Seconda Guerra Mondiale: sono gli italiani che se
ne vanno dall’Italia. A dirlo sono i registri dei connazionali
residenti all’estero, a cui vanno sommati i dati incrociati da fonti
esterne, come ad esempio le statistiche anagrafiche dei maggiori Paesi
europei. Il fenomeno dunque misura almeno il doppio rispetto ai numeri
effettivamente censiti, che si riferiscono a cittadini italiani
residenti all’estero per più di 12 mesi e che adempiono agli obblighi di
legge iscrivendosi all’Aire (non tutti lo fanno, soprattutto fra i più
giovani).
La Farnesina si sta attrezzando per rendere l’iscrizione
ai registri una prassi consolidata: «Davanti alla sfida dei nuovi
flussi di mobilità e degli oltre 5,5 milioni di italiani residenti
all’estero - dice il direttore della Direzione degli italiani all’estero
Luigi Maria Vignali - il ministero sta puntando decisamente sulla
digitalizzazione dei servizi consolari: abbiamo attivato il Portale
Fast-It e pensiamo di renderlo un vero e proprio “sportello consolare
virtuale”, per richiedere servizi e ottenere certificati direttamente on
line».
Stando ai dati del ministero degli Esteri, se si guarda
agli ultimi cinque anni, la mobilità italiana è passata dai 3,1 milioni
di iscritti nel 2006 agli oltre 5,1 milioni del 2018. La fotografia
scattata nel 2018 parla di 5.114.469 di italiani residenti stabilmente
all’estero sui quasi 60 milioni e mezzo censiti nella stessa data in
Italia. E solo nell’ultimo anno la comunità di iscritti è aumentata di
140 mila persone (+2,8%). Alcuni sono italiani che nascono già
all’estero, altri sono quelli che acquisiscono la cittadinanza, altri
ancora (pochissimi) quelli che si trasferiscono da un comune all’altro
nella nazione estera in cui già vivono. Molti però espatriano, per la
precisione il 52,8%; questo significa che gli italiani che hanno scelto
di trasferire stabilmente la loro residenza fuori dai confini nazionali
sono 123.193. Un po’ come se si fosse svuotata, nell’ultimo anno, una
città delle dimensioni di Monza o di Pescara.
Ma chi sono gli
italiani che se ne vanno? Il 37,4 per cento ha un’età compresa tra i 18 e
i 34 anni, ma la tendenza registra un aumento dell’età: rispetto
all’anno precedente c’è stato nel 2017 un aumento di quasi il 3 per
cento di persone che hanno tra i 35 i 49 anni. E il trend da allora è
tutto in aumento. La maggioranza degli espatriati (56%) si trova oggi
nella forbice compresa tra i 18 e i 44 anni, a cui si deve aggiungere un
19% di minorenni. Quest’ultimo dato è indicativo: la partenza di questi
24.570 minori (di cui il 16,6% ha meno di 14 anni e l’11,5% meno di 10
anni) significa infatti che a spostarsi sono interi nuclei familiari.
Via dalle città
Rispetto
al passato, i nuovi italiani sono più istruiti: il 34,6 per cento ha la
licenza media, il 34,8 è diplomato e il 30 è laureato. E come altri
migranti, mandano i soldi a casa: le stime del 2016 parlano di sette
miliardi di euro di rimesse dall’estero, circa mezzo punto di Pil. Cifra
che non va a compensare l’investimento perduto, se si calcola che ogni
dottore di ricerca che se ne va è costato allo Stato italiano circa 230
mila euro (un laureato 170 mila, un diplomato 90 mila).
A conferma
che tra le ragioni della partenza possa esserci la ricerca di
opportunità migliori di quelle offerte dal panorama nazionale c’è il
dato geografico: sono le grandi aree metropolitane, quelle con forti o
importanti strutture formative e professionali - dalle università alle
grandi aziende - a produrre il maggior numero di «expat». Milano, Roma,
Genova, Torino e Napoli sono le prime cinque province di partenza. Tra
le Regioni in testa c’è la Lombardia, seguono Veneto, Sicilia,
Emilia-Romagna e Liguria. Si va soprattutto in Europa, e poi in America
(che significa anche America Latina, Brasile e Argentina in
particolare).
Il Paese che accoglie in assoluto più italiani è la
Germania, che a inizio 2018 ha registrato 20.007 nuovi ingressi, seguono
Regno Unito e Francia, rispettivamente a quota 18.517 e 12.870.
L’effetto Brexit si è fatto sentire: le presenze sono precipitate nel
Regno Unito del 25,2%, ma il dato è probabilmente dovuto anche alla
mancata iscrizione all’Aire di tanti che non sanno se restare o fare
ritorno a casa. A una minore attrattività della Gran Bretagna
corrisponde un aumento di interesse nei confronti della Francia, che a
dispetto di tutto, ha visto, più di tutte le altre nazioni, l’arrivo di
giovani nuclei familiari provenienti dall’Italia.
I migranti di rimbalzo
Tra
i cambiamenti sostanziali c’è da registrare poi un aumento della fascia
d’età di chi parte: + 20,7% nella classe di età 50-64 anni; +35, 3%
nella classe 65-74 anni; +78,6% dagli 85 anni in su. Molti, tra gli over
60, fanno parte della cosiddetta «emigrazione previdenziale», ovvero
coloro che decidono di trascorrere la pensione in luoghi in cui le tasse
e i costi della vita sono decisamente inferiori che in Italia; la testa
della classifica è dominata come sempre dal Portogallo, che ha
registrato un aumento del 140,4%, seguono Brasile (+32,0%), Spagna
(+28,6%) e Irlanda (+24,0%). Altri invece sono genitori e nonni che
raggiungono i figli e i nipoti stabiliti all’estero, oppure sono
«migranti di rimbalzo», che rientrano in Italia, ma dopo un po’
preferiscono tornare da dove erano partiti, o «migranti maturi
disoccupati», quelli che a un certo punto si rendono conto di non
riuscire a mantenere la propria famiglia in patria. E allora se ne
vanno.