La Stampa 7.2.19
Italia, nella missione in Niger anche l’accordo per vendere armi
di Francesco Grignetti
L’Italia
è sbarcata in Niger, militarmente parlando, per cooperare
all’addestramento delle sue forze armate e forze di sicurezza, ma anche e
soprattutto per estendere il suo «soft power», il che significa ad
esempio vendere armamenti. Sono all’opera da alcuni mesi almeno 70
istruttori italiani; operano a favore della Gendarmeria e della Guardia
nazionale.
Un cartello di associazioni (Asgi, Cild e Rete Disarmo)
ha intanto ottenuto dal Tar una copia dell’Accordo Italia-Niger firmato
il 26 settembre 2017 dall’allora ministro della Difesa, Roberta
Pinotti. Un Trattato che finora era stato negato al Parlamento, così
come le due lettere intercorse successivamente tra i due governi. «Ed è
abbastanza misterioso che sia stato tenuto segreto - scrivono le tre
associazioni - visto che è un documento abbastanza ripetitivo, uguale ad
altri accordi similari». È talmente di routine, il documento secretato,
che è stato scritto con pochissima attenzione. Al punto 2.3 si prevede
addirittura la possibilità di «visite di navi» in un Paese come il Niger
che non ha affaccio al mare.
Se finora due governi- quello
Gentiloni e quello Conte - hanno negato la divulgazione dell’Accordo, ed
è stata necessaria una sentenza del Tar, probabilmente è perché gli
articoli 6 e 7 dell’Accordo si diffondono minuziosamente sui «prodotti
per la difesa». Si prevede la cooperazione negli equipaggiamenti per le
navi (di nuovo l’errore!), aeromobili, sistemi aerospaziali, carri e
veicoli, armi e relativo munizionamento, grossi calibri, esplosivi e
propellenti, bombe, mine anticarro, razzi, missili, siluri (terzo
errore) e infine materiali speciali blindati.
Con un accordo
bilaterale del genere, la strada è spianata a successivi contratti o
accordi per la cessione a titolo gratuito di armamento dismesso dalle
nostre forze armate. E da quel che si sa, il governo nigerino avrebbe
già chiesto una fornitura di auto e camion dismessi dal nostro esercito.
«Le
Parti si presteranno reciproco supporto tecnico-amministrativo,
assistenza e collaborazione al fine di promuovere l’esecuzione del
presente Accordo da parte delle industrie e/o delle organizzazioni
interessate, nonché dei contratti sottoscritti in virtù del presente
Accordo».
Dato che si prefigurano vendite di armamenti anche
sofisticati, al punto 7, le Parti si impegnano «a attuare le procedure
necessarie per garantire la protezione della proprietà intellettuale,
inclusi i brevetti». E questa garanzia a lungo è mancata, evidentemente
perché il Niger non ha mai avuto la necessità di garantire una legge a
tutela dei brevetti stranieri. Perciò non si ha notizia, al momento, di
contratti stipulati con quel Paese da parte della nostra industria. Ma
non tarderanno.
Come di consueto, il nostro governo ha fatto anche
inserire la clausola che ciascuno dei due contraenti si impegna «a non
riesportare il materiale acquisito senza il preventivo benestare della
parte cedente».