martedì 5 febbraio 2019

La Stampa 5.2.19
1938, quando gli ebrei smisero di essere italiani
di Francesca Paci


Quando scoprirono di non essere più italiani, l’imprenditore ebreo Ettore Ovazza e i suoi cari erano fascisti. Poi vennero le leggi razziali del 1938, l’obbligo di cedere la banca di famiglia, l’interdizione dalla professione. Nell’autunno del 1943 furono tutti massacrati dai nazisti sul Lago Maggiore. La storia degli Ovazza, tragicamente analoga a quelle di migliaia di altre, è una delle cinque raccontate da Pietro Suber in 1938: quando scoprimmo di non essere più italiani, il film documentario distribuito da oggi con La Stampa (€ 9,90 più il prezzo del giornale) che ricostruisce il contesto antecedente e successivo alla deportazione dei nostri connazionali attraverso la voce dei protagonisti ma anche degli altri, i responsabili diretti e gli irresponsabili, i troppi rimasti con gli occhi volutamente chiusi per non schierarsi e pagarne il pegno.
Gli Ovazza, dunque, e poi il mitico Moretto, che alzò la voce contro la razzia del Ghetto di Roma e si salvò flirtando con la nipote di un collaborazionista, gli Schenheit, sopravvissuti miracolosamente ai campi di sterminio, l’ebrea di Fiume Lea Polgar nascosta nella casa dell’incisore del Vaticano Aurelio Mistruzzi e il loro alter ego macabro, i carnefici, una famiglia di presunti delatori accusati di aver denunciato ai tedeschi i dirimpettai con cui fino a quel momento avevano vissuto da fratelli. È un viaggio nella coscienza collettiva, tra rare immagini d’archivio e inediti documenti d’epoca passati al setaccio con lo storico Amedeo Osti Guerrazzi, che gettano una luce particolare sul passato e sul presente, sull’ottantesimo anniversario dalla pubblicazione del Manifesto della razza e sulla memoria che ancora inciampa in omissioni, minimizzazioni, revisionismi.
Oltre alla voce dei testimoni di ieri, il film propone quella contemporanea dei nuovi estremisti di destra, i movimenti giovanili che gravitano intorno a Forza Nuova e CasaPound tenendo vivi pregiudizi e stereotipi antisemiti. L’antidoto è ricordare, chiosa la sindaca di Roma Virginia Raggi intervistata per spiegare la decisione dell’amministrazione capitolina di ribattezzare tre strade intitolate a firmatari del Manifesto della razza con il nome di altrettanti scienziati ebrei: affinché, a posteriori, riscoprano di essere sempre stati italiani