il manifesto 5.2.19
Maduro, dall’Europa una stretta all’assedio. E lui scrive al papa
Sale
la tensione a Caracas. Scaduto l’ultimatum, Spagna, Francia e Germania
riconoscono Juan Guaidó. Anche Londra s’accoda, con altri 13 paesi Ue.
Aiuti umanitari, la Croce rossa avverte gli Stati uniti: «Solo d’intesa
con le autorità locali, quali che siano». Per Trump l’uso della forza
ora è «un’opzione». Rischio di casus belli alla frontiera con la
Colombia
di Clauidia Fanti
Si stringe sempre di
più l’assedio attorno al governo bolivariano. Scaduto l’ultimatum di 8
giorni lanciato da Francia, Spagna e Germania al presidente Maduro per
costringerlo a convocare nuove elezioni presidenziali, i tre paesi, più
Gran Bretagna, Austria, Olanda e Svezia, a cui in serata si
aggiungeranno altri nove paesi, hanno provveduto a riconoscere
ufficialmente Juan Guaidó come presidente ad interim del Venezuela.
Cioè
un oscuro e semisconosciuto deputato materializzatosi dal nulla,
appartenente a un gruppo di estrema destra, Voluntad popular, fortemente
screditato nel paese, persino all’interno dello schieramento di
opposizione, per i suoi stretti legami con le guarimbas, le violente
proteste che hanno insanguinato il paese nel 2014 e nel 2017. Un puro
prodotto made in Usa da cui sarebbe impossibile attendersi un impegno a
favore della democrazia in Venezuela.
«CONSIDERIAMO che Juan
Guaidó abbia la legittimità per indire delle elezioni presidenziali», ha
dichiarato il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian,
aggiungendo, in maniera involontariamente grottesca, considerando la
rivolta dei gilet gialli in corso da dodici settimane, che «il popolo è
in strada, il popolo vuole il cambiamento». «Guaidó deve convocare il
prima possibile elezioni libere perché il popolo del Venezuela deve
poter decidere del proprio futuro», ha dichiarato dal canto suo il non
eletto Pedro Sánchez. Mentre il ministro degli Esteri britannico Jeremy
Hunt si è augurato che tale riconoscimento «ci porti più vicino alla
fine di questa crisi umanitaria», benché a tale crisi la Gran Bretagna
stia contribuendo con il blocco delle riserve auree di proprietà
venezuelana pari a 1,2 miliardi di dollari.
E nel momento in cui
va in scena l’ipocrisia dell’Europa, diventa sempre più forte, fuori e
dentro i confini venezuelani, il rullo dei tamburi di guerra.
IN
UN’INTERVISTA ALLA CBS, alla domanda sull’uso della forza militare
statunitense in Venezuela, Trump ha dichiarato apertamente che «è
un’opzione», senza però aggiungere altro. Un’affermazione ancor più
sinistra del ritornello «tutte le opzioni sono sul tavolo» ascoltato a
più riprese negli ultimi giorni. E altrettanto sinistra è suonata la
dichiarazione dell’autoproclamatosi presidente ad interim, secondo cui
«il 90% dei venezuelani non teme una guerra civile perché vuole un
cambiamento».
IL CASUS BELLI potrebbe venire dall’invio dei
cosiddetti aiuti umanitari garantito dal responsabile della sicurezza
Usa Bolton «su richiesta di Guaidó», il quale, durante la manifestazione
di sabato a Caracas, aveva annunciato «una coalizione mondiale per gli
aiuti umanitari» con tre punti di raccolta – uno a Cúcuta, l’altro in
Brasile e il terzo in un’isola dei Caraibi – e una mobilitazione per
esigere che la forza armata bolivariana ne consenta il passaggio.
E
se si può prevedere che un eventuale ingresso degli “aiuti” avvenga a
Cúcuta, zona di frontiera caratterizzata dalla forte presenza del
paramilitarismo colombiano e delle mafie del contrabbando, dunque ideale
per scatenare un’azione destabilizzante, non è chiaro, tuttavia, senza
autorizzazioni del governo Maduro, in che modo potrebbero entrare
concretamente e con quale tipo di azione.
NON PER NIENTE la Croce
rossa ha messo in guardia gli Usa dal rischio di inviare aiuti umanitari
in Venezuela senza l’approvazione del governo, dichiarando, attraverso
il direttore delle operazioni globali Dominik Stillhart, di poter
partecipare a tali «sforzi» solo «con l’accordo delle autorità
venezuelane, quali che siano tali autorità». Gli Stati uniti, tuttavia,
non sembrano preoccuparsene, pubblicando, attraverso l’account twitter
dell’amministratore della Usaid (l’agenzia Usa per lo sviluppo
internazionale) Mark Green, una serie di foto di casse, pronte per il
trasporto, con tonnellate di alimenti destinati ai «bambini denutriti».
NEPPURE
IL MINISTRO della Difesa canadese, Harjit Sajjan, ha scartato l’ipotesi
di un intervento militare, pur definendola «prematura». E del rischio è
ben consapevole Maduro, se è vero che, in un’intervista concessa al
programma Salvados della tv spagnola, ha affermato, riguardo alla
possibilità di una guerra civile, che «tutto dipende dal livello di
follia e di aggressività dell’impero del nord».
MA È SUL DIALOGO
CHE PUNTA ancora il presidente, come ha ribadito nell’intervista
rilasciata ieri a Sky TG24, affermando di aver inviato una lettera a
papa Francesco per chiedergli «il suo miglior sforzo per aiutarci nella
strada del dialogo».
«Io scelgo il dialogo, sempre il dialogo,
dialogo per difendere la democrazia, dialogo per difendere la pace e
superare i problemi», ha dichiarato il presidente, mettendo però in
guardia dal rischio di trasformare il Venezuela in nuovo Vietnam: «Non
permetteremo mai – assicura – che sia toccato un palmo del territorio
nazionale».