il manifesto 5.2.19
La rete sotterranea per le donne polacche
Polonia.
Una piattaforma di dottori e studenti di medicina che fornisce
assistenza per la pillola del giorno dopo, associazioni che aiutano a
praticare l’interruzione di gravidanza, viaggio nel network pro-choice
che aggira le restrittive leggi del paese sull’aborto
di Francesco Brusa, Alice Chiarei
VARSAVIA.
Aleksandra Krasowska su Facebook, mi sono precipitata a contattarla».
Natalia è una giovane specializzanda in ematologia di Varsavia e non ci
ha pensato due volte a entrare a far parte di Lekarze Kobietom (medici
per le donne). «Nel 2017 il governo polacco ha deciso di restringere
l’accesso alla contraccezione d’emergenza (liberalizzato due anni prima
sulla scorta di una decisione europea, nda). Con la nuova legge, per
ottenere la pillola del giorno dopo occorre avere la ricetta e il medico
può avvalersi dell’obiezione di coscienza». La stretta effettuata dal
partito conservatore Diritto e Giustizia (PiS) di Jarosław Kaczynski ha
avuto conseguenze immediate: in alcune aree i medici che rilasciano
ricette si contano sulle dita di una mano.
Lekarze Kobietom è una
rete informale di dottori e studenti di medicina polacchi, che ha il
preciso obiettivo di limitare i danni di questa legge. Nata su
iniziativa della psichiatra Aleksandra Krasowska, riunisce volontari e
volontarie da varie regioni del paese. «In Polonia la percentuale di
obiettori è altissima», spiega Natalia, «e c’è quindi il rischio di non
riuscire a trovare in tempo un medico che firmi la ricetta. La cosa più
utile è stata allora “mappare” su tutto il territorio le cliniche e gli
studi pronti a farlo. Abbiamo attivato un sito web dove le donne possono
chiedere consigli, ma soprattutto ottenere sostegno per procurarsi la
contraccezione d’emergenza. Indirizziamo chi ci contatta verso i dottori
della nostra rete, disponibili a fornire la pillola del giorno dopo».
Un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito dallo stato, ma che
invece viene portato avanti da un gruppo di attivisti. «In Polonia la
contraccezione e l’aborto sono un tabù, soprattutto per la classe
medica. In alcune facoltà non viene nemmeno insegnato come praticare
un’interruzione di gravidanza» racconta Natalia.
Non tutte infatti
entrano in contatto con Lekarze Kobietom per richiedere la pillola del
giorno dopo. Capita molto spesso che le donne scrivano quando hanno già
bisogno di praticare un aborto e qui la faccenda si fa più complicata.
La
legge polacca in vigore dal 1993 (una delle più restrittive d’Europa)
prevede l’interruzione di gravidanza in soli tre casi: in conseguenza di
stupro o incesto, se sussistono rischi di salute per la madre e in
presenza di gravi malformazioni del feto. Inoltre, si può essere
perseguiti per aver “aiutato” una donna ad abortire. «È una norma molto
vaga», dice Liliana Religa di Federa (Federazione polacca per le donne e
la pianificazione familiare), associazione che si occupa di diritti
femminili fin dagli anni ‘90. «La nostra paura è che venga utilizzata
dal governo per ostacolare le realtà che sono a favore del diritto di
scelta, impedendo anche solo di dare informazioni generali. Oppure la si
usa per punire chi è solidale: una persona è stata recentemente
denunciata per aver accompagnato con la propria macchina una donna che
andava ad abortire in Germania. Insomma, si fa di tutto per rendere
difficile l’accesso ai servizi contraccettivi e all’interruzione di
gravidanza».
Occorre dunque aggirare norme e problemi, trovando
“vie sotterranee” per esercitare la libera scelta. Se si richiede
sostegno per praticare un aborto, dal sito di Lekarze Kobietom si viene
spesso indirizzati verso Kobiety w Sieci (donne in rete). «Si tratta di
un gruppo cui ci si può rivolgere per qualsiasi informazione pratica»
spiega Liliana. «Alcune delle donne che vi fanno parte hanno avuto
esperienze con l’aborto farmacologico e condividono con chi le
contattata dubbi e consigli». Attraverso Kobiety w Sieci (che a sua
volta si appoggia alle reti internazionali di Women on Web e Women on
Waves) è possibile ordinare la pillola abortiva, recapitata direttamente
all’indirizzo di casa. Le spedizioni avvengono con semplici pacchi
postali (anche se la Polizia di Frontiera sta intensificando i
controlli) o, in alcuni casi, addirittura per mezzo di droni. Secondo i
ricercatori dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, i servizi di
telemedicina come Women on Web sono considerati metodi di aborto sicuro,
anche se i problemi di questa soluzione sono molti. Innanzitutto le
tempistiche. Se la pillola viene sequestrata prima di arrivare a
destinazione, la donna potrebbe ritrovarsi in uno stato della gravidanza
già troppo avanzato. Inoltre, c’è la tensione psicologica legata
all’assunzione. «Non dimenticherò mai la paura, quando la mia fidanzata
ha dovuto ingerire questa pillola dal mittente ignoto, senza alcuna
assistenza medica su come si sarebbe svolto l’aborto farmacologico e
senza garanzie riguardo a ciò che stava assumendo», racconta un ragazzo
che preferisce restare anonimo e che, però, anche a partire da
quell’episodio ha iniziato a prendere parte alle lotte per i diritti
riproduttivi.
Un’alternativa, certamente più costosa, è quella
dell’aborto all’estero. Nei paesi confinanti con la Polonia esistono
infatti cliniche ginecologiche private per l’aborto chirurgico che si
prendono carico di tutto il processo, dal viaggio fino al rientro a casa
per una cifra che va dai 400 ai 600 euro (in Polonia il salario medio è
di 830 euro). Ci sono linee dedicate per prendere appuntamento e anche
gli infermieri e i medici parlano polacco. «La partenza avviene di
mattina presto, praticamente col buio» dice Marta Syrwid, che si è
sottoposta all’intervento in Slovacchia e ha poi deciso di rendere
pubblica la sua esperienza. «È difficile descrivere la sensazione che si
prova a essere trasportati oltre la frontiera, per un’operazione così
intima, su un pulmino guidato da sconosciuti. È tutto molto strano e
asettico. Appena arrivata alla clinica, mi hanno fatto firmare un foglio
scritto in un polacco sgrammaticato: dovevo dichiarare di essere andata
lì perché avevo un aborto spontaneo in corso». Le normative di
Slovacchia e Repubblica Ceca, principali destinazioni delle donne
polacche, sembrano infatti essere contraddittorie. L’interruzione
volontaria di gravidanza è in teoria riservata solo a chi risiede
permanentemente nel paese e la dichiarazione di un aborto spontaneo in
corso sarebbe dunque un espediente per agire nella quasi-legalità. La
pratica non viene tanto sbandierata, né dai governi né dalle cliniche,
anche per non guastare le relazioni diplomatiche con la Polonia.
Non
così, se ci si orienta più a ovest: è il caso di movimenti come quello
di Ciocia Basia, a Berlino, o dell’Abortion Network Amsterdam, nella
capitale olandese, gruppi di volontari e volontarie uniti a sostegno di
donne, persone trans, non-binarie o queer. Il loro obiettivo è garantire
a chiunque un aborto sicuro, al di là delle possibilità economiche, e
offrono oltre all’intervento chirurgico anche supporto psicologico e
logistico.
Sia dentro che fuori i confini, comunque, il punto
centrale rimane quello della consapevolezza. «L’aborto è Ok» recitavano i
cartelloni in testa al corteo del 30 settembre scorso a Varsavia.
In
quell’occasione, le donne sono scese in strada manifestando per la
prima volta a favore della libera scelta e non solo contro i tentativi
di restrizione dell’accesso all’interruzione di gravidanza da parte del
PiS. Una lunga colonna di dimostranti ha attraversato Most
Poniatowskiego, il ponte sulla Vistola, mentre alcuni picchetti di
cattolici pro-life provavano a contrastarli. «Chi ha partecipato alla
Marcia per l’Aborto Legale e Sicuro di settembre è stato molto
coraggioso», afferma Liliana di Federa, che come associazione ha
sostenuto l’iniziativa. «Il clima non è certo dei migliori. Lo slogan
“l’aborto è ok” ha destato scandalo, anche all’interno dello stesso
movimento femminista e le organizzatrici del corteo sono state definite
talvolta “troppo radicali”. Ma è un inizio promettente. Credo che le
proteste degli ultimi anni stiano aprendo gli occhi a tanti. Secondo
alcuni sondaggi, la maggioranza della popolazione è ora a favore di una
completa legalizzazione dell’aborto e dei diritti riproduttivi».
Ciò
che manca è la volontà politica di ascoltare tali richieste. Le ultime
elezioni regionali hanno confermato l’egemonia del PiS nelle zone più
rurali del paese e il partito di Kaczynski sembra deciso a mantenere le
sue posizioni autoritarie e conservatrici. «Fino a oggi, abbiamo
ricevuto più di diecimila domande d’aiuto», precisa l’attivista di
Lekarze Kobietom Natalia. Al dato si aggiungono, secondo le stime, quasi
altre centomila cittadine polacche costrette ad abortire illegalmente o
all’estero. «Questo è un governo che odia le donne. Ma con la nostra
rete abbiamo finalmente capito di essere in tante e di poter fare
qualcosa di concreto».