il manifesto 5.2.19
In Libia campi come lager ma l’Italia è cieca
Storie.
In un libro scritto da giuristi, L’attualità del male, l’atto di accusa
contro i nostri governi e la Ue. La storia di un aguzzino condannato a
Milano grazie alle testimonianze dei connazionali
di Antonella Romeo
«Ho
chiuso gli occhi per non vedere chi moriva accanto» ha raccontato in
Procura ad Agrigento uno dei tre uomini sopravvissuti quell’ultimo
naufragio di gennaio rimasto privo di soccorsi. Le donne con i loro
bambini, anche un neonato, sono andati a fondo per primi. Liliana Segre
scriveva nelle sue memorie del campo di Auschwitz: «Per uscire
dall’incubo l’unico modo era voltare la faccia dall’altra parte, non
vedere».
NEL MEDITERRANEO E IN LIBIA il male è sempre di grande
attualità. «L’attualità del male. La Libia dei lager è verità
processuale», a cura di Maurizio Veglio, (Edizioni SEB27), è il titolo
di un libro scritto da giuristi. Il volume è un atto di accusa contro
prassi politiche perseguite dai governi italiani e dall’Unione Europea
in spregio ai diritti umani, purché i migranti restino o vengano
riportati in Libia. Gli autori del volume analizzano la sentenza
pronunciata dalla corte d’Assise di Milano il 15 ottobre 2017 alla luce
del presente e di un passato più o meno recente (i crimini nazisti, la
guerra in Jugoslavia).
DUE GIUDICI TOGATE insieme ai giudici
popolari della corte di Milano avevano condannato all’ergastolo il
cittadino somalo Matammud Osman. Era stato fermato da altri suoi
connazionali nei pressi della Stazione Centrale di Milano, che avevano
riconosciuto in lui l’aguzzino che nel campo di Bali Walid in Libia li
stuprava e torturava, costringendo i parenti a sentire le loro urla al
telefono. Un sistema di ricatto collaudato, l’attività imprenditoriale
più lucrativa oramai da tempo in Libia. Per la prima volta una Corte di
giustizia di un Paese dell’Unione Europea ha scritto nero su bianco
quello che in questi anni sta succedendo ai migranti nei centri di
detenzione libici e condannato uno dei carnefici, accusato da tredici
uomini e quattro donne di indescrivibili crudeltà.
LA SENTENZA
STABILISCE non solo la verità processuale, ma anche la verità storica di
accadimenti che proseguono in Libia. Il documento descrive con rara
chiarezza le stazioni della via crucis delle vittime fino al loro arrivo
in Italia. Tremenda la descrizione del campo di Bali Walid, «dotato di
un grandissimo hangar all’interno del quale venivano tenute recluse
circa 500 persone. Intorno a questo capannone c’era un cortile
sorvegliato da uomini libici armati . I migranti dormivano tutti
insieme, uomini e donne, ed erano così ammassati che non c’era neanche
lo spazio per muoversi. L’hangar non era areato, le condizioni igieniche
erano del tutto scadenti, c’erano pidocchi ovunque, molti migranti
soffrivano di malattie della pelle. Non potevano lavarsi, il cibo
fornito era scarso. I profughi erano costretti a rimanere chiusi dentro
al capannone giorno e notte, senza nemmeno poter parlare fra di loro».
L’ACCUSATO
PRELEVAVA i reclusi ogni giorno, li portava in una stanza delle
torture, dove li tormentava con scariche elettriche, gli faceva colare
addosso plastica incandescente; li appendeva per le mani e li colpiva
con bastoni di gomma e spranghe di ferro, li lasciava per ore
incaprettati a disidratarsi sotto il sole. Per terrorizzare tutti, ne
uccideva alcuni, lasciando i cadaveri esposti per giorni.
Quotidianamente prendeva le ragazze anche minorenni e le sottoponeva a
interminabili, gravissime violenze sessuali, ancora più penose per le
quelle infibulate. Una lettura insostenibile, ma è necessario far
conoscere questa sentenza perché tali crimini continuano a essere
perpetrati in Libia su sempre nuove vittime.
L’ASSOCIAZIONE DEGLI
STUDI giuridici sull’immigrazione (ASGI) – che difende i diritti civili e
umani dei migranti – si era costituita parte civile nel processo con
l’avvocato Piergiorgio Weiss, che scrive ne «L’attualità del male»:
«Dopo questa sentenza non possiamo più continuare a girarci dall’altra
parte la domanda è: possono l’Italia e l’Europa ignorare tutto ciò,
possono far finta di non sapere che riportare in Libia i profughi
significa portarli in lager dove sono praticate le peggiori torture?».
Continua Pierpaolo Rivello che è stato pubblico ministero in molti
processi contro i crimini compiuti dai nazisti in Italia: «La pronuncia
conferma che attualmente i campi di prigionia libici possono essere
considerati dei veri e propri lager. Gli orrori che si perpetrano sono
assimilabili a quelli che si verificarono a Treblinka o ad Auschwitz.
Alla luce di questa sentenza appaiono ancora più gravi le conseguenze
delle scelte adottate dalle autorità del nostro Paese, volte a favorire
il contenimento del flusso dei migranti».
IL MINISTERO DEGLI
INTERNI tiene con acribia il computo degli sbarchi: sono diminuiti a
gennaio 2019 dell’95,58 per cento rispetto allo stesso periodo del 2018 e
del 95,54 per cento rispetto al 2017. Di questo dato il governo va
fiero, ma si dimentica di ringraziare per questi dati quello precedente
che il 3 febbraio 2017 ha firmato con la Libia un Memorandum: per «la
lotta all’immigrazione clandestina e il controllo dei confini», dare
«supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della
lotta contro l’immigrazione clandestina come la Guardia costiera» e
proseguire l’«adeguamento e finanziamento dei centri di accoglienza già
attivi», formarne il personale libico oltre che predisporne altri. Il
governo italiano, con appoggio e finanziamento dell’Ue, ha delegato il
lavoro alla Guardia costiera libica. Il Consiglio europeo il 28 giugno
2018 ammoniva le Ong: «Tutte le navi operanti nel Mediterraneo devono
rispettare le leggi applicabili e non interferire con le operazioni
della Guardia costiera libica».
L’AVVOCATO LORENZO TRUCCO,
Presidente dell’Asgi, spiega ancora ne «L’attualità del male» che questo
Memorandum, come altri recenti accordi, sono giuridicamente «deleghe di
respingimento. Ricordiamo – dice Trucco – che la Libia rimane un paese
che non ha ratificato le più fondamentali convenzioni in materia di
diritto d’asilo e di rispetto dei diritti umani». Tali violazioni sono
denunciate nell’ultimo report dell’Unhcr sulla Libia (settembre 2018),
comprese quelle compiute dalla Guardia costiera libica. A novembre del
2017 l’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu Zeid Ra’ad Al
Hussein aveva scritto: «L’Unione europea e l’Italia stanno fornendo
assistenza alla Guardia costiera libica per l’intercettazione di barche
di migranti nel Mediterraneo, comprese le acque internazionali»,
nonostante tale aiuto condanni «sempre più migranti a detenzioni
arbitrarie e senza limite temporale durante le quali verrebbero esposte a
torture, stupri, lavoro forzato, sfruttamento ed estorsione». È proprio
quello che hanno raccontato i 17 cittadini somali durante il processo
di Milano, e almeno quella corte gli ha reso giustizia.
LA LIBIA È
UN INFERNO e la Guardia costiera non risponde alle chiamate di
soccorso. «La Guardia costiera è un’invenzione – dice Domenico Quirico –
che ha scritto la prefazione del libro. «La Polizia libica non esiste,
il controllo dell’ordine pubblico è affidato a milizie di diverse
gradazioni, islamisti, non islamisti, banditi, canagliume puro. La
strada è stata aperta da Minniti quando è andato a fare accordi,
legittimando dal punto di vista politico e giuridico persone che
dovrebbero stare in galera per i reati menzionati dalla sentenza della
Corte di Assise di Milano».
«I MIGRANTI – scrive ancora Trucco –
vengono considerati non più un problema, ma nemici, e coloro che li
aiutano, le navi delle Ong, essendo loro alleati devono essere
combattuti. I soldi della cooperazione vengono deviati per rafforzare i
controlli dei confini in Libia come in Niger. C’è una forma di razzismo
istituzionale evidente, queste persone non contano sono di rango
inferiore, sono non-persone».
LE VITTIME CHIUDONO gli occhi per
non farsi sopraffare dalla disperazione. Per dirla con le parole di
Primo Levi, fino a quando saremo sordi, ciechi e muti di fronte a tanto,
«una massa di invalidi intorno a un nucleo di feroci».