martedì 5 febbraio 2019

Il Fatto 5.2.19
Sfida aperta in Israele Benny Gantz, il generale che assedia “Re” Bibi
Elezioni il 9 aprile - Jeans e camicia, schivo, sguardo penetrante: nell’affollata arena politica, il partito del militare “Resilienza per Israele” è dato già al 36%
di Fabio Scuto


Jeans portati con disinvoltura, la camicia aperta sotto la giacca, con la sua faccia rassicurante si affaccia sui telegiornali, nelle interviste online. Lo sguardo penetrante ma sereno sembra voler dire a tutti gli israeliani: “Rilassatevi, adesso ci sono qui io”. Nell’affollata arena politica israeliana dominata finora dalla personalità del premier Benjamin Netanyahu, l’ex generale Benny Gantz – l’ultimo dei novizi della politica – vola nei sondaggi. Con il suo partito “Resilienza per Israele” – la forza e la resistenza – guadagna terreno ogni giorno su Netanyahu e ormai nel gradimento come leader lo ha raggiunto al 36% dei consensi.
Sarà lui l’avversario da battere e il nervosismo a Balfour Street, la residenza ufficiale del primo ministro, è già assai palpabile. Sessanta anni ben portati, ex attaché militare negli Usa, Gantz è stato Chief of Staff dal febbraio 2011 al febbraio 2015 con in mezzo due guerre con Hamas nella Striscia di Gaza. Di carattere schivo, ha resistito a lungo alle lusinghe della destra, poi infine ha scelto la sua strada, fondando un suo partito e sfidando direttamente Bibi.
Per la prima volta in un decennio, l’opposizione a Netanyahu ha qualcuno con autorità ed esperienza militare, cosa che finora ha dato al premier un decisivo vantaggio sui suoi sfidanti. In molti vaticinano la fine “dell’era Netanyahu”, la cui longevità alla guida del Paese ha superato per tempo quella di David Ben Gurion, il padre dello Stato di Israele. Ma “King Bibi” è un perfetto animale politico, in grado di rovesciare le sorti della sfida come fece nel voto del 2015 quando con il Likud nell’ultime due settimane riuscì a recuperare 10 punti percentuali sull’Unione Sionista – l’alleanza fra laburisti e centristi di Tzipi Livni – e vincere ancora una volta.
Certo oggi l’uomo che la metà di Israele ha amato e l’altra metà ha amato odiare, è appesantito da 4 inchieste che lo vedono colpevole di corruzione, frode, truffa, tangenti, scambio di favori. Lui si difende come un leone – “è un vasto complotto contro di me” – ma su due casi l’istruttoria è pronta e il Procuratore generale Avichai Medelblit deve solo decidere quando mandarlo sotto processo, se prima o dopo il voto del 9 aprile. I partigiani di Bibi sono ancora molti e lui ha ancora in pugno il partito, il Likud, che è accreditato più o meno degli stessi seggi (30) che occupa attualmente alla Knesset (120 seggi). Ma non basta. La nuova alleanza che si è formata tra il partito di Benny Gantz e Yesh Atid – il partito centrista guidato dall’ex telegiornalista Yair Lapid – è accreditata di prendere 35 seggi e cresce ancora nei consensi. Sulla collocazione nel centrodestra di “Resilienza” non si discute ma l’apparizione e il successo di Gantz ha spazzato via le aspettative di altri leader di partito – come Lapid o Avi Gabbay del Labour – che rivendicavano la guida del campo anti-Netanyahu.
Non è solo l’esperienza militare e diplomatica che Gantz ha, ma è anche la sua capacità di andare dritto al problema; come le critiche mordaci al primo ministro, allo stile della sua famiglia, alla sua corte e i suoi amici miliardari o alla sua alleanza con i partiti religiosi. Nessun altro finora era riuscito ad affinare un messaggio del genere. E anche nel suo primo discorso pubblico a Tel Aviv non ha mancato certo di franchezza. “Netanyahu non è un re, il suo governo semina divisione e provoca incitamento”, e ancora “un primo ministro non può guidare il Paese quando è sotto gravi accuse e pronto per andare sotto processo”. Difendere Israele da ogni minaccia interna e esterna è il suo mantra. Ha anche parlato del fronte di Gaza, dicendo che permetterebbe “il passaggio degli aiuti umanitari ai residenti della Striscia” e sostenere “uno sviluppo economico ma certo non il passaggio con valigie piene di dollari come avviene ora”.
Al fianco di Benny Gantz è comparsa una figura chiave come quella Moshe Yaalon. Un altro ex soldato, generale, capo di stato maggiore e infine anche ministro della Difesa. Il suo giovane movimento – Telem – si è fuso con “Resilienza”. Due Gatekepeer, altri due guardiani di Israele, che si inseriscono nel solco tracciato da Moshe Dayan, Yitzhak Rabin, Ehud Barak e Ariel Sharon. Ma la nostalgia non è sufficiente per vincere le elezioni, anche se i primi risultati appaiono promettenti. Per battere Netanyahu, Gantz in questi due mesi prima del voto dovrà fare un corso accelerato in politica. Dovrà schierare una squadra con nomi noti. Per evitare che il suo partito “Resilienza” possa sembrare un ramo dello Tzevet – l’associazione degli ufficiali dell’Idf in pensione – dopo essersi alleato con i centristi di Yesh Atid, dovrà cercare di imbarcare il Labour e forse anche il partito Kulanu di Moshe Kahlon. Dovrà includere nelle sue liste elettorali donne, giovani e mizrahim – gli ebrei provenienti dal mondo arabo. L’obiettivo supremo e principale è sostituire Netanyahu e se la tendenza continua, e Gantz non commette errori lungo la strada, anche gli elettori di centrosinistra possono votare strategicamente per lui il prossimo 9 aprile e mettere così fine al lungo regno di “King Bibi”.