lunedì 4 febbraio 2019

La Stampa 4.2.19
Il duello fra Usa e Cina può declassare l’Europa
di Bill Emmott

  
Laguerra commerciale Usa-Cina rischia di inasprirsi, durando per anni e danneggiando entrambe le economie. I rappresentanti cinesi e Usa che si sono incontrati il 31 gennaio a Washington non sono riusciti a fare passi avanti. La recessione in Italia può essere ricondotta anche a un rallentamento della domanda cinese prodotta dalla guerra commerciale, che ha un impatto sulle importazioni.
Ma noi europei dobbiamo renderci conto di un rischio ancora maggiore: che gli Usa e la Cina riescano invece a raggiungere un accordo, ed emarginarci una volta per tutte.
Un indizio di questo possibile sviluppo si può leggere nella reazione del presidente Donald Trump ai mancati progressi nel negoziato del 31 gennaio: ha subito chiesto di convocare un vertice con il «suo amico» Xi Jinping, il leader cinese, dicendo che l’accordo si poteva conseguire solo in un colloquio personale di alto livello. Questa reazione è un segno del narcisismo di Trump, e della sua inclinazione ad avere a che fare con leader potenti e autoritari, ricordando gli anni di Berlusconi a Palazzo Chigi, quando nulla poteva farlo più contento che incontrare Vladimir Putin e il colonnello Gheddafi. Ma rispecchia anche un aspetto più profondo: l’imminente incombere di un mondo dominato da due superpotenze.
Ecco perché, dal punto di vista sia delle nazioni minori, sia di un grande blocco come l’Unione Europea, il rischio strategico cruciale derivante dallo scontro tra Usa e Cina non viene dal fallimento ma dal successo, non dal conflitto bensì dalla sua soluzione. In linea di principio, il complesso mondo di oggi dovrebbe essere gestito da una moltitudine di nazioni che insieme scelgono di condividere regole di commercio e sicurezza. In pratica però queste regole potrebbero un giorno venire imposte da sole due nazioni, che insieme rappresentano circa il 40% dell’economia mondiale, e una quota ancora maggiore di potere politico e militare.
Gli Stati minori dell’Ue hanno avuto per anni un sentimento controverso nei confronti della cooperazione tra Francia e Germania: senza di essa l’Ue non si evolve, in presenza di essa però qualunque progresso rischia di andare contro gli interessi di tutti gli altri Paesi membri. La stessa situazione potrebbe presto presentarsi con gli Usa e la Cina, se il mondo non venisse più guidato dal gruppo dei sette Paesi più ricchi all’interno del più numeroso G20, che ha accresciuto il suo ruolo dopo la crisi finanziaria del 2008, finendo invece nelle mani della Banda dei Due.
In questo momento un G2 può apparire come una prospettiva remota. L’America e la Cina hanno imposto pesanti dazi sulle merci dell’avversario e si stanno scambiando accuse sferzanti sull’arresto in Canada, su richiesta americana, della Cfo del gigante delle telecomunicazioni cinese Huawei, che per coincidenza è anche la figlia del suo fondatore. Usa e Cina hanno profonde divergenze anche sulle operazioni militari condotte da Pechino nel Mar Cinese del Sud, e un rapporto controverso riguardo all’impegno a costringere la Corea del Nord a rinunciare al suo arsenale nucleare. Eppure proprio l’intensità di queste contraddizioni parla a favore della necessità di gestirle su base bilaterale, che il presidente Trump vorrebbe personalizzare. L’impulso a un governo bilaterale ha ragioni di esistere, mettendo però in pericolo il resto del mondo, e il sistema multilaterale di presa di decisioni e imposizione di regole cui ci eravamo abituati.
La Cina è ormai da decenni un forte sostenitore di formati multilaterali come l’Organizzazione mondiale del commercio, il Fondo monetario internazionale e gli svariati organismi delle Nazioni Unite, che offrono una più che benvenuta legittimità, oltre alla tutela dal predominio americano. Ma ora che la Cina è diventata molto più potente, e viene vessata dall’amministrazione di Trump su base bilaterale, potrebbe anche cambiare atteggiamento, sentendosi ormai sufficientemente forte per difendersi da sola, e perfino prevalere.
La strategia di base dell’Ue e delle altre potenze che rischierebbero di perdere influenza in un mondo G2 – come il Giappone, il Canada, l’Australia e la Gran Bretagna del Brexit – dovrebbe essere quella di lavorare per persuadere la Cina a non abbandonare il multilateralismo. Questo obiettivo si potrebbe ottenere dimostrando che formule più accettabili per gestire problemi delicati come il furto di proprietà intellettuali e lo sviluppo tecnologico si possono ottenere grazie alla Wto, il Fmi e l’Onu, invece che in un negoziato Usa-Cina, e che società come Huawei saranno più protette dal diritto internazionale che dallo scontro tra le leggi dei due Paesi. Nel contempo i governi europei dovrebbero svolgere un lavoro di lobby con gli altri rami del governo americano, come il Congresso e i governatori degli Stati, per convincerli che gli interessi a lungo termine degli Usa sono garantiti da un’ampia partnership internazionale meglio che dalla diplomazia personale di Trump.
Tutti vogliono che gli Usa e la Cina raggiungano una tregua nella loro battaglia commerciale e tecnologica, e tutti vogliono evitare anche la più minima ombra di un confronto militare. Nello stesso tempo però non bisogna perdere di vista gli obiettivi di lungo termine, come quello di evitare danni collaterali al sistema decisionale multilaterale a cui tutti partecipiamo e in cui tutte le voci vengono ascoltate.