Corriere 4.2.19
La deriva non vista del Paese
di Ernesto Galli della Loggia
Non
credo che ci siano altri Paesi in Europa dove un autorevole perché
popolarissimo rappresentante del partito di maggioranza e di governo
(sto parlando di Alessandro Di Battista) possa tranquillamente sostenere
che «Trump in politica estera è il miglior presidente degli Usa incluso
quel golpista di Obama», o che in Venezuela l’Italia non debba
schierarsi con l’opposizione a un caudillo sciagurato il quale ha
costretto all’esilio più di tre milioni di persone, ne ha arrestate
migliaia, uccise a centinaia e sta portando la sua nazione alla rovina
economica. Né c’è un altro posto, direi, dove mentre tutti gli indici
volgono al negativo indicando un futuro da sviluppo zero le autorità di
governo dichiarino che no, non è vero nulla, tutto va per il meglio, e
anzi siamo alla vigilia di una notevole ripresa.
In Italia invece
tutto ciò non solo è possibile ma sta diventando quasi la norma. Se ne
fa di solito colpa alla politica, in specie ai 5 Stelle. E di fatto le
sciocchezze di cui sopra sono uscite dalla loro bocca, sono loro i
principali protagonisti di quella che si può definire l’irresponsabilità
politica, della quale ha già detto tutto ieri su queste colonne
Maurizio Ferrera.
I l guaio è che tale irresponsabilità politica è
lo specchio di qualcosa di più vasto, di un’irresponsabilità diciamo
così sociale (e vorrei aggiungere etica) che ormai nel nostro Paese sta
conoscendo una diffusione a macchia d’olio. Certo, per una parte
importante essa è ripresa e quindi rilanciata e amplificata dalla
politica.
Ad esempio l’idea che esistano micidiali scie chimiche
rilasciate dagli aerei, che i vaccini siano pericolosi e inutili, che i
migranti portino in Italia malattie spaventose, che i musulmani presenti
in Italia ammontino a non so quanti milioni, e altre falsità o idiozie
simili sono state certamente e spregiudicatamente utilizzate dalla
politica (di nuovo: più che altro dai grillini). Ma sono nate altrove. E
sono condivise da moltissima gente, indipendentemente da Di Maio o Di
Battista. I quali se ne sono fatti portavoce, io credo, non solo e non
tanto per calcolo politico bensì per un’altra ragione: perché alla fine
la cultura di entrambi è la stessa della gente che crede in quelle
sciocchezze. O meglio, il più delle volte non sa neppure se ci crede
realmente, non sa se è proprio vero, ma comunque si sente autorizzata a
parlare lo stesso, a parlarne come se fosse vero. Tanto che importa?
Sicché
in ultima analisi il dato veramente preoccupante è questo: in Italia è
sempre più raro che qualcuno si senta responsabile di alcunché. Sempre
più va prendendo piede un’irresponsabilità sociale di fondo che prende
innanzi tutto una veste diciamo così intellettual-discorsiva. Si può
parlare a vanvera di qualsiasi argomento, tutti si sentono autorizzati a
dire la propria su qualunque cosa senza pensarci due volte, non ci sono
più esperti di nulla (se non di cucina: solo i cuochi sono ormai
considerati degli autentici Soloni). È questa vastissima area di
irresponsabilità socio-culturale che è andata via crescendo il vero
retroterra di quella che appare l’irresponsabile superficialità di tanti
discorsi politici. Che differenza c’è alla fin fine, infatti, tra Di
Battista che dà del golpista a Obama, il ministro che si dice certo che
domani vedremo il Pil risalire alle stelle, e chi è sicuro che dal
cancro si possa guarire perfettamente con una dieta adatta?
Il
fenomeno di tale irresponsabilità è ancora più pervadente, in realtà. Da
tempo, infatti, esso si manifesta oltre che nell’ambito delle parole e
delle idee in quello dei comportamenti. Specie dei comportamenti
giovanili, con lo scoppio sempre più frequente di una violenza gratuita e
inconsapevole di se stessa. Un quattordicenne e un sedicenne che danno
fuoco a un clochard, una banda di giovanissimi che a Como sconvolgono il
centro della città con una serie di rapine e aggressioni feroci; e però
i loro genitori, i «grandi», perlopiù sempre inclini a un’indulgenza
assolutoria — «E via, che sarà mai, che avranno fatto poi di così
grave?» — non essendo più neppure loro in grado di capire il significato
e la portata delle cose. È lo specchio di una società che sta
diventando nel suo complesso incapace di pesare le idee e le persone, di
misurare le differenze: tra i fatti e le fantasie, tra chi ragiona e
chi straparla, tra chi sa e chi non sa, alla fine tra il bene e il male.
Una società che appena può ama sempre più spesso prendersi una vacanza
dalla realtà per abbandonarsi all’esercizio di una irresponsabilità,
resa stolidamente sicura di sé dall’impunità che le assicura la forza
del numero.
Ma se oggi l’Italia è questa, non è per un caso. È
perché negli anni non ci siamo accorti che stavamo diventando un Paese
disarticolato e invertebrato, un organismo privo di qualunque centro
d’ispirazione ideale come di qualunque istanza di controllo culturale.
Le nostre sciagurate vicende interne, i nostri errori e le nostre
insufficienze, hanno fatto sì che forse in nessun altro Paese d’Europa
come da noi abbia messo radici un pregiudizio democraticistico ostile al
principio d’autorità. Cioè un principio che, come si capisce, è
essenziale non solo per l’esistenza del centro e dell’istanza di cui
sopra, ma ancora di più perché esistano delle élite. Non possono esserci
élite dove lo spirito pubblico non è pronto a riconoscere il peso di
alcuna autorità.
Per più aspetti il problema dell’Italia di questo
inizio secolo è anche, nella sua essenza, un problema di assenza di
autorità. Di un’autorità socialmente riconosciuta e policentrica, come
si conviene ad una società democratica, ma comunque di un’autorità. E
invece non siamo disposti a riconoscere l’autorità più di niente e di
nessuno. Non esiste più alcuna autorità a cui il Paese dia la sua
fiducia, né esiste più — in un perverso quanto ovvio circolo vizioso —
alcuna sede disposta a pensarsi fino in fondo come depositaria di una
qualche autorità. Da noi non hanno ormai più nessuna vera autorità la
famiglia, la scuola, la cultura, la stampa, la politica, la Chiesa, la
Banca d’Italia, le istituzioni dello Stato a cominciare dalla
magistratura (fanno ancora una parziale eccezione la Presidenza della
Repubblica e l’Arma dei carabinieri, sempre che quest’ultima sappia fare
al suo interno la pulizia che recenti vicende indicano come
necessaria). Dove per autorità intendo quella che s’impone di per sé
stessa, per la propria intrinseca autorevolezza, serietà, coerenza,
caratteristiche capaci in quanto tali di generare consenso e dettare
idee e comportamenti. Senza la quale autorità si diventa per l’appunto
ciò che noi oggi siamo: un Paese senza guida in cui ognuno può dire e
credere ciò che vuole, spesso anche farlo, nella massima
irresponsabilità e illudendosi di non pagare mai pegno. E invece il
pegno si paga sempre: e infatti noi lo stiamo già pagando.