La Stampa 1.2.19
“Il progresso passa attraverso la capacità di ribellarsi”
di L. L.
Cita
l’«Economist», fa riferimento alla Silicon Valley e a un sogno
americano che inizia a vacillare; parla dei robot come amici dell’uomo.
Ma il tema che più fa infervorare Paolo Dario, direttore dell’Istituto
di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, è il lato
individuale dell’innovatore. E’ qui che il ricercatore, ieri al convegno
«Le sfide dell’innovazione», rivela la sua identità di «pasionario»
della tecnologia: lui è noto, infatti, come uno dei massimi esperti
mondiali di creature artificiali e del loro impatto sulla vita
quotidiana di milioni di esseri umani .
Professore, quali sono le caratteristiche personali che riescono a far emergere comportamenti davvero innovativi?
«L’innovatore
è un ribelle, non soddisfatto dello status quo. Pensa che una
determinata azione si possa fare meglio. Nella scienza e nella
tecnologia c’è chi si muove a passi lenti e chi non conosce mezze
misure. Pensiamo ai telefoni cellulari: dopo i primi, è arrivato Steve
Jobs con la linea rivoluzionaria degli iPhone, che poi è cresciuta con i
vari modelli intermedi di smartphone».
In quale modo la società può aiutare uno scienziato a innovare?
«Un
Paese deve dare l’opportunità a una persona di inseguire sia
l’innovazione radicale sia quella incrementale. Certo, se vivi in un
secolo buio, o diventi un eroe come Gesù Cristo o emigri nella Silicon
Valley oppure in Cina, dove nascono i nuovi grandi attori
dell’Intelligenza Artificiale e del web».
L’Italia, secondo lei, è in grado di dare una chance concreta agli innovatori?
«A
differenza di Germania, Stati Uniti, Svizzera e Giappone, dove ti
dicono che cosa devi fare per sviluppare una certa tecnologia e ti danno
le risorse, l’Italia ti dà la libertà, ma non i mezzi. Ci sono
eccezioni: moda, cucina, robotica. Nel manifatturiero e nelle
automazioni siamo leader mondiali. Nelle tecnologie dell’informazione e
della comunicazione, invece, l’Europa non può competere con Usa e Cina».
Perché questo ritardo così grave?
«Se
viene un giovane in Italia che ha l’idea di creare Facebook, i soldi
non glieli danno. Per cambiare le cose bisognerebbe mantenere il nostro
Welfare State e, nel contempo, produrre ricchezza senza diventare una
giungla. Adesso la gente sta scappando dalla Silicon Valley per i costi
alti delle case e per la qualità della vita non più al top».
Le macchine come possono e come potranno aiutarci?
«Alla
Scuola Sant’Anna facciamo robot per aiutare le persone, con
applicazioni in chirurgia, riabilitazione, assistenza per anziani, nuove
protesi e stiamo anche lavorando sull’industria circolare per riciclare
rifiuti».
Che cosa dobbiamo aspettarci dal futuro?
«Prevedere
il futuro è difficile, ma è importante costruirlo attraverso
“cattedrali”, cioè luoghi per tutti. Ci vogliono tempo, sforzi e soldi.
Non è un sogno: una società dovrebbe investire nel futuro. Senza mai
abdicare all’educazione».