La Stampa 1.2.19
Chi l’ha detto che l’altruismo in natura non funziona?
di Federico Vercellone
Altruismo
è una parola che fa paura, assomiglia a una sfida inutile. Le forze che
trainano la vita sembrano inclinare, quantomeno nella vulgata, in
tutt’altra direzione. In natura dovrebbe vincere il più adatto secondo
una versione un po’attempata del darwinismo, mentre lo spazio sociale
sembra esser dominato da logiche selvagge che replicano quello che si
immagina avvenga nel creato. Probabilmente, tuttavia, le cose non vanno
così né sull’uno né sull’altro versante. Lo testimonia, tra l’altro,
anche un volume collettivo molto ricco e variegato, comparso ora presso
la Forum di Udine, L’altruismo. Competizione e cooperazione dalla
biologia all’economia, dalla filosofia alle neuroscienze curato da due
biologi dell’Università di Udine, Francesco Nazzi e Angelo Vianello.
Come
viene annunciato dal titolo, lo spettro del discorso è molto ampio e si
va dalla biologia evoluzionistica, alle relazioni interattive in natura
come quelle tra fiori e api, alla filosofia, e in particolare
all’insegnamento socratico che intende la maieutica come un farsi vuoti
di ogni sapere, come un’apertura fondamentale grazie alla quale Socrate
si fa oblativamente generatore del sapere e dell’individualità altrui.
Di qui si va ancora oltre, all’economia e al tema dei beni comuni, e poi
alle neuroscienze e ai neurotrasmettitori per venire, in un panorama
molto variegato e vasto, alle vette religiose e spirituali della
relazione anima-corpo. Sullo sfondo aleggia il grande libro di Martin
Nowak, Supercooperatori che ci mostra come l’evoluzione non funzioni
semplicemente su basi competitive ma si aiuti potentemente con le armi
della cooperazione e dell’altruismo. La cooperazione riguarda la natura
vegetale, quella animale e quella umana. L’esempio delle api è centrale
in un quadro più ampio che mostra come di fatto sovente gli individui
più propensi alla cooperazione siano anche quelli che in natura sono più
adatti a sopravvivere nella lotta per la vita.
Dall’insieme di
questi discorsi emerge una domanda fondamentale: funziona meglio, e cioè
è più performativa una razionalità puramente strumentale,
esclusivamente rivolta allo scopo, per dirla con Max Weber, o una
razionalità che miri a integrare il suo funzionamento con l’andamento
della natura, e sia pertanto ispirata a finalità etiche, all’idea di una
vita felice? Paradossalmente, dimezzando lo sforzo, addomesticando cioè
la fatica dei conflitti, la cooperazione è l’indice di una razionalità
migliore e più performante della quale sa Dio quanto abbiamo bisogno in
un mondo che ha perso l’orizzonte ultimo del proprio sviluppo, il
significato del futuro.