La Stampa 13.2.19
L’eroe della Mauritania: “Libererò il popolo dalla schiavitù”
Biram Dah Abeid da 20 anni sfida le élite religiose di Nouakchott: «L’Europa smetta di fare affari coi governi corrotti»
di Francesca Paci
Lo
Spartaco mauritano che stamattina racconterà a Roma come abbia spezzato
le catene del silenzio intorno alla schiavitù africana è un gigante
buono. Si chiama Biram Dah Abeid ma l’hanno ribattezzato il Mandela di
Nouakchott per la determinazione pacifica con cui da oltre vent’anni
porta avanti la sua battaglia sfidando la prigione e l’odio giurato
delle élite religiose del suo Paese. Arriva alla sede della Federazione
Italiana Diritti Umani, che ha organizzato il convegno «La schiavitù nel
XXI secolo» (oggi alle 9,30 a Palazzo Giustiniani), con una lunga
tunica celeste, il passo solido, mani grandi che una legge più vecchia
del tempo avrebbe voluto legate. Quando nel 2013 l’Onu gli conferì il
premio per i diritti umani il mondo si accorse di colpo della sua
«Initiative de Résurgence du mouvement Abolitionniste de Mauritanie»:
poi tutto passa, veloce, si dimentica.
Come spiega l’oblio che, a
parte qualche sortita nell’inferno dei migranti, avvolge la schiavitù
contemporanea come se l’incubo di «Radici» fosse sepolto con il ’900?
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«Persiste
purtroppo un’illusione occidentale nei confronti del mondo arabo
musulmano. L’occidente ha condiviso con alcune élite africane la lotta
contro la schiavitù dei bianchi ma non ha mai affrontato il tema della
schiavitù nelle società arabe. L’idea diffusa è che la schiavitù abbia
coinciso con la tratta atlantica degli africani tra il XVI e il XIX
secolo ma c’è anche quella araba-musulmana che, nel silenzio generale,
ha visto trasferire uomini, donne e bambini verso l’Africa del Nord, la
penisola Arabica, il Medioriente. La rimozione risale alle battaglie
contro l’aphartaid, lo schiavismo afro-americano, le guerre
d’indipendenza, quando nel nome di una solidarietà continentale e
confessionale tra arabi e africani si mise da parte questa
conflittualità atavica nascondendola al mondo. È così che la schiavitù
nei Paesi arabo-musulmani è rimasta tale e quale era nel XII secolo, in
Sudan, in Algeria, in Ciad, in Marocco, in Libia. Si discute tanto della
schiavitù dei migranti in Libia ed è reale, ma con Gheddafi era la
stessa cosa, i migranti diretti in Europa sono schiavi nuovi che si
sommano a quelli di prima. Poi c’è il caso della Mauritania».
Cos’ha in più la Mauritania?
«Ha
l’entità del fenomeno. Il 20% dei miei connazionali sono schiavi e il
35% sono schiavi affrancati, significa oltre metà della popolazione. E
parlo di gente che lavora senza orario, senza salario, senza diritti
civili, senza documenti né alternative a meno di essere sciolta dal
padrone. È così da sempre e la Francia, concedendo l’indipendenza dopo
70 anni di colonialismo, ha garantito anche l’impunità alle minoranze
arabo-berbere che gestivano la schiavitù prima e oggi sono al potere.
Nel 1982 e poi nel 2007, dopo dure e ripetute rivolte, la schiavitù è
stata ufficialmente bandita ma giacché nessuna legge la punisce sta lì
viva e vegeta».
Nel 2012, durante una protesta, è stato arrestato per aver bruciato un breviario musulmano. Cosa c’entra l’islam?
«Il
razzismo, da cui proviene la schiavitù, ha tante cause e quella
economica è la meno importante. Il codice d’onore degli arabi per
esempio, considera degradante il lavoro, nei campi come in cucina, e
prevede gli schiavi per questo. È così da secoli e da secoli gli schiavi
partoriscono schiavi che i padroni si trasmetteranno in eredità. Poi
c’è la religione, che sin dall’inizio è servita da giustificazione. In
Mauritania si racconta che i futuri schiavi e i liberi fossero nati
uguali. Poi, durante un temporale, i primi si coprirono la testa con il
Corano macchiandosi la faccia d’inchiostro e Allah, ritenendoli
irrispettosi, li condannò alla negritudine e dunque alla schiavitù. Ho
bruciato il libro che, interpretando alcuni versi del Corano, sostiene
queste follie: dice anche che le schiave sono a disposizione del
padrone, possono essere abusate, vendute, condivise, affittate».
Quando ha deciso di rompere il silenzio?
«Sono
libero perché mio padre fu affrancato nel ventre di mia nonna quando un
sacerdote prescrisse come cura al padrone malato la liberazione di uno
schiavo e quello liberò il feto. A 10 anni ho visto il primo schiavo
picchiato, era più forte del suo aguzzino ma non si ribellava perché,
come mi spiegò mia madre, aveva le catene nella testa, la religione,
l’ignoranza. Mio padre ha voluto che studiassi perché capissi dai libri
religiosi come la schiavitù dipenda dall’uomo e non da Dio: è la mia
battaglia»
Cosa può fare l’Europa?
«Finché l’Europa
commercerà con i governi corrotti africani la schiavitù
s’intensificherà, quella stanziale come quella dei migranti. In
Mauritania il 93% dell’oro estratto finisce in tasca a gruppi europei,
russi, americani e cinesi, mentre il 7% va alla minoranza araba al
potere, un sistema che si alimenta con la schiavitù».