venerdì 1 febbraio 2019

La Stampa 1.2.19
Clochard ucciso da un 17enne
“Niente carcere farà il volontario”
di Carlo Amato


Non può nascondere la rabbia mista a sconcerto: «È una vergogna. È stato ucciso un uomo, l’hanno bruciato vivo mentre dormiva. I colpevoli sono due ragazzini veronesi: uno non ha subìto nemmeno il processo perché troppo piccolo (aveva 13 anni, sotto ai 14 non sei imputabile, ndr), l’altro, diciassettenne, non passerà un giorno in carcere, starà in comunità e dovrà fare il bravo per tre anni, impegnarsi nel volontariato, in qualche lavoretto e in attività sportive. Tutto qui». Addolorato, triste: «Ma vi sembra giusto? Questo è il valore della vita di mio zio: lo zero assoluto. Forse perché è una vittima di serie B? Chi l’ha ammazzato se la caverà solo con un po’ di rieducazione e di psicoterapia. Se è questa la giustizia, io cercherò in tutto i modi di difendere chi giustizia non ha avuto urlando il mio disgusto e la mia rabbia, denunciando finché avrò fiato i criminali che gli hanno dato fuoco senza avere poi alcun prezzo da pagare».
La disperazione del nipote
È arrabbiato Salah Fdil, il nipote di Ahmed Fdil, il clochard di 64 anni di Santa Maria di Zevio, nel Veronese, morto carbonizzato nell’auto in cui viveva, la notte di Santa Lucia del 2017: i due adolescenti da tempo lo tormentavano, giocavano con la sua vita «per noia» fino a ucciderlo dando fuoco alla macchina dove il marocchino viveva, benvoluto da tutti nella piccola frazione. Aveva un soprannome, il «Baffo Buono». Anche la sera del 13 dicembre di tredici mesi fa, i due amici erano andati nella piazzola di sosta a tormentare Ahmed. Doveva essere «uno scherzo», pare gli abbiano lanciato contro dei petardi. Gli hanno lanciato nell’abitacolo fazzoletti di carta infuocati, sarebbe corso fuori spaventato, li avrebbe mandati via urlando, era già successo. Era un modo per rendere più vivo l’ennesimo pomeriggio monotono. Il «gioco disumano» s’è trasformato in una trappola mortale e il «Baffo Buono» è morto avvolto nelle fiamme, incastrato nell’auto che gli ha fatto prima da casa e poi da bara. Ieri, la sentenza del gup Maria Teresa Rossi del Tribunale dei Minori di Venezia ha ordinato la messa alla prova per tre anni del 17enne a processo per omicidio volontario aggravato dalla minorata capacità di difesa della vittima. Ahmed Fdil quella sera stava dormendo sul sedile della sua Fiat Bravo. A Venezia, ieri mattina, al processo, è arrivato da Barcellona Salah con la famiglia. «Volevo vedere in faccia l’assassinio di mio zio, capire se è davvero un “bambino“ troppo piccolo per capire o se invece è un “bambino” assassino».