mercoledì 6 febbraio 2019

il teorico dell'«operaio-massa», ormai da anni convertitosi al cattolicesimo, ancora prima dell’epoca di Bergoglio
Repubblica 6.2.19
Il libro
Le riflessioni dell’ex senatore
Tronti: " La sinistra dei benestanti ha perduto il suo popolo"
di Concetto Vecchio


ROMA Non mi va di trovarmi dalla stessa parte dei benestanti, mentre i nullatenenti stanno dall’altra parte. Non me la sento di stare con quelli che alle nove di sera entrano all’Auditorium contro quelli che alle sei di mattina escono di casa», sostiene Mario Tronti nel suo ultimo libro Il popolo perduto, una conversazione con Andrea Bianchi, che esce in questi giorni in libreria, edito da Nutrimenti.
È un grido di dolore. Ma anche una riflessione senza sconti sulle ragioni che ancora rimangono alla sinistra, fatta da un filosofo che vive in periferia a Roma, e che ogni mattina sale sullo stesso autobus, il 776, i cui viaggiatori hanno da tempo voltato le spalle ai partiti progressisti.
«Il dramma, almeno per me politicamente insopportabile, è una sinistra di benestanti e una destra di nullatenenti». La radice dell’antipolitica sta tutta qui, secondo Tronti: in questa percezione. Ma è un guasto che viene da lontano. Dalla scissione del Pci, che andava evitata. A cui è seguita l’illusione dei post-comunisti che avrebbero potuto conquistare la maggioranza con un altro elettorato, generico, aprendosi così la strada al governo. Così ci si è allontanati da una cultura politica che avesse al centro i bisogni sociali. La conseguenza è stata che «non si sono più riconosciuti i conflitti veri dove poter spendere politica vera. Ne è venuta fuori una melassa di buoni sentimenti che non acchiappavano niente della nuova dura realtà che picchiava sulle condizioni di vita delle persone».
Morale: la mentalità culturale democratico-progressista non ha più capito il popolo. E il ceto politico imbevuto di quella cultura non è più venuto da lì, e non è più andato lì.
Dice Tronti: «Contate quante volte si nomina la parola cittadini e quante volte la parola lavoratori. Quante mobilitazioni di piazza si sono fatte su rivendicazioni umanitarie e quante sul flagello delle morti sul lavoro?».
I democratici, di cui Tronti è stato senatore, seppur senza tessera, hanno dato l’idea di credere vera la falsa notizia che non c’è più sfruttamento del lavoro. «Soltanto che il popolo li ha sgamati». Una mutazione genetica.
Il Novecento è finito e la sinistra non ha saputo investire la sua missione in una nuova impresa.
Tronti ricorda che un tempo il segretario di sezione del Pci faceva la relazione all’assemblea dell’Attivo. Che cos’era l’Attivo?
Erano gli iscritti al partito della zona che portavano orientamenti e riflessioni dalla strada e dalla vita di tutti i giorni.
Morto l’Attivo il popolo si è ribellato e ha finito per regalarci L’uomo qualunque al governo.
Si è ancora in tempo, mentre i populisti hanno stregato il paese? L’antipolitica si batte rifondando, in istituti nuovi, i partiti e la democrazia rappresentativa, per sintonizzarsi con i bisogni degli ultimi, «muti, soli, disperati e incattiviti». Anche Tronti fa ammenda: «Dovevo fare più politica e meno cultura politica.
Oggi forse è tardi».
Viviamo in una terra di nessuno.
Un tempo senza epoca. «C’è il nostro tempo, manca però l’epoca», osserva Tronti. La storia è diventata piccola, prevale la cronaca, il chiacchiericcio, il lamento. Cita Aldo Moro, quando diceva che «bisogna dominare con intelligenza gli avvenimenti». Soprattutto bisogna sapere da dove si viene, conoscere le origini. Le élite hanno fallito. Ma è compito delle élite risintonizzarsi con il popolo. «Perché — avverte il filosofo — non c’è vero popolo senza classi dirigenti e non ci sono vere classi dirigenti senza popolo».
Il libro e l’autore
Il popolo perduto.
Per una critica della sinistra (Nutrimenti, pagine 144, euro 14) Mario Tronti, classe 1931, filosofo, tra i fondatori dell’operaismo, intervistato da Andrea Bianchi