il manifesto 9.2.19
L’invasione brutale del senso comune
Scaffale.
«La Lega di Salvini», di Passarelli e Tuorlo, per il Mulino. Come è
nato un nuovo partito di estrema destra. «La crescente importanza della
questione immigrazione nella retorica politica leghista - spiegano gli
autori - è forse la dimensione che più di altre aiuta a cogliere questa
trasformazione»
di Guido Caldiron
Il politologo
olandese Cas Mudde, uno dei maggiori studiosi internazionali delle
«nuove destre», a proposito del voto europeo del maggio prossimo ha
recentemente fatto osservare dalle colonne del Guardian che potrebbe
trattarsi con ogni probabilità di «un’elezione spartiacque per i
populisti di destra», passati già in molti paesi dall’agitazione
anti-establishment alle pratiche di governo e che si accingono ora,
nelle loro intenzioni, a ripetere l’operazione sul piano continentale.
Mudde,
da alcuni anni docente dell’Università della Georgia, che ha seguito
l’evoluzione e le trasformazioni del radicalismo nero fino alla comparsa
degli attuali movimenti «nazional-populisti» – sua la definizione del
populismo come «una risposta democratica illiberale al liberismo
antidemocratico» -, non ha dubbi nell’iscrivere, in questa prospettiva,
la Lega tra i rappresentanti della più «classica» ideologia del
radicalismo di destra contemporaneo, centrata in particolare
sull’opposizione alla presenza degli immigrati, anche se considera,
ancora, Salvini più come «un seguace che un leader», nel senso che, a
suo giudizio, sta soprattutto «seguendo le orme di Le Pen, Putin, Orbán e
Trump».
PER CHI È COSTRETTO però ad osservare da posizione più
ravvicinata le gesta del leader leghista, nonché vicepremier e ministro
degli Interni, l’interrogativo più urgente non riguarda tanto il
possibile approdo della sua strategia, nel lungo come nel breve tempo,
quanto piuttosto il percorso che lo ha condotto fin qui. Questo perché
l’evidente ascesa politica di Salvini e la costante crescita del brand
della Lega, ci parla di cosa si agita nel profondo della società
italiana in questi anni di crisi e inquietudine.
Un’importante
risposta a questi interrogativi arriva dall’indagine pubblicata per il
Mulino da Gianluca Passarelli e Dario Tuorlo con il titolo di La Lega di
Salvini (pp. 170, euro 15,00) che, sulla scorta di un lavoro che i due
studiosi hanno condotto lungo l’ultimo decennio, esamina le radici e
l’orizzonte di quella che non si esita a definire come «estrema destra
di governo».
LA PRIMA CONSIDERAZIONE che Passarelli e Tuorlo
affidano ai lettori riguarda infatti la necessità di «prendere sul
serio», anche sul piano del portato ideolologico-politico, il «fenomeno»
Salvini, dopo che per decenni si è teso a sottovalutare il leghismo,
derubricando a semplici boutade le sortite razziste dei suoi esponenti o
sottovalutando la carica di novità, anche se in negativo, della sua
proposta politica, ridotta, di volta in volta, a «nuova balena bianca» e
«costola della sinistra».
Se sull’internità, fin dal suo
apparire, della Lega a quella categoria di «nuova destra
post-industriale», non più erede del Novecento, definita a suo tempo tra
gli altri dal politologo Piero Ignazi, non si dovrebbe ormai più
dubitare, restano da definire le coordinate del nuovo inquietante balzo
in avanti.
È ALL’OMBRA DELLA CRISI economica e sociale,
suggeriscono Passarelli e Tuorlo che, per alcuni versi in continuità con
il suo recente passato per altri con una evidente trasformazione e
accelerazione, la Lega è divenuta un partito di estrema destra. «La
crescente importanza della questione immigrazione nella retorica
politica leghista è forse la dimensione che più di altre aiuta a
cogliere questa trasformazione», spiegano i due autori. La forma assunta
da questa strategia si è quindi basata essenzialmente sulla costruzione
di «un rapporto perverso tra opinione pubblica, sempre più preoccupata
delle nuove presenze non italiane, e mondo leghista, che ha saputo
alimentarsi di questo clima, ma anche contribuire ad accenderlo per
monopolizzarlo o orientarne le rappresentazioni prevalenti tra
l’elettorato, ora enfatizzando il pericolo economico, ora concentrandosi
su quegli aspetti più connotati sul piano simbolico».
Conseguentemente,
nella nuova versione della Lega definita da Salvini l’indipendentismo
ha potuto lasciare il passo, non senza frizioni interne, al sovranismo e
ai temi classici della destra nazionalista: dal «no» all’immigrazione e
alla mondializzazione, fino all’euroscetticismo e al rigetto dell’«idea
stessa di democrazia pluralista sostenuta dal pensiero liberale».
L’evocazione della «comunità identitaria» e della chiusura verso
l’esterno da una dimensione, per così dire «pedemontana», sono state
trasferite all’intera realtà nazionale, fino ad indicare, anche in
termini elettorali, una progressiva espansione del movimento verso il
centro e il sud del paese.
Ne La Lega di Salvini, che dà conto di
come questa progressiva ridefinizione ideologica si sia compiuta anche
all’interno della macchina organizzativa e tra gli elettori del
movimento, si evidenzia infine come questo fenomeno sia «sintomo e
causa, allo stesso tempo, di una parte delle difficoltà e incertezze che
affliggono il Paese. Manifesta una febbre latente e acuisce dolori
sociali lancinanti». Una sfida cui rispondere perciò sul piano politico
come su quello sociale.