il manifesto 6.2.19
Le foibe per dimenticare i crimini del fascismo
Giorno
del ricordo. I mancati conti col nostro passato fascista e l'assenza di
una ridefinizione della complessità storica, fanno sì che le foibe
vengano presentate come «pulizia etnica» o come violenza perpetrata
contro gli italiani in quanto tali
di Davide Conti
Sono
collocati da tempo al centro del dibattito in Italia, e non solo, l’uso
politico della storia, la formulazione di leggi memoriali ad hoc e il
tema, già discusso in Parlamento, di una codificazione normativa.
Codificazione che si proporrebbe di sanzionare giuridicamente veri o
presunti «negazionisti», determinando una torsione del senso del passato
schiacciata sulla misura minuta del quotidiano. Un processo di questa
natura comporta una semplificazione dei termini della complessità
storica che, in ultima istanza, pone una questione di grande rilievo sul
piano della memoria e dell’identità stessa della nostra società.
Da
un quindicennio attorno al Giorno del ricordo si consuma un conflitto
storico-memoriale che in alcuni casi ha finito per esorbitare nella
dimensione politico-diplomatica (basti pensare all’aspra polemica tra il
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’allora Presidente
del consiglio croato Stipe Mesic e lo scrittore italo-sloveno Boris
Pahor).
Questo conflitto è caratterizzato da un non detto pubblico
relativo all’eredità fascista dell’Italia post-bellica che impedisce,
di fatto, una completa ricostruzione ed un compiuto conferimento del
senso della storia consumatasi sul nostro confine orientale e sfociata
nelle violenze subite dagli italiani in quelle terre prima nel 1943,
dopo lo sbando dell’8 settembre, e poi nel 1945.
Quanti conoscono
in Italia il generale Mario Roatta e le misure di repressione di civili e
partigiani jugoslavi riassunte nella sua «Circolare 3 C»? quanto
l’opinione pubblica viene resa edotta della condotta del «governatore
del Montenegro» Alessandro Pirzio Biroli, del generale Mario Robotti,
per il quale in Jugoslavia «si ammazza troppo poco», o del generale
Gastone Gambara che nel 1942 scriveva «logico e opportuno che campo di
internamento non significhi campo di ingrassamento»?
Quanti sanno
che delle migliaia di «presunti» criminali di guerra italiani inseriti
nelle liste delle Nazioni Unite alla fine del conflitto nessuno venne
processato in Italia o all’estero? Il mito degli «italiani brava gente»
ha ragion d’essere di fronte alla consolidata storiografia che ormai da
decenni ha ricostruito documentalmente i crimini di guerra del regio
esercito e delle formazioni fasciste?
Fu Mussolini stesso, d’altro
canto, il 22 settembre 1920 a Pola, ad anticipare ciò che sarebbe
accaduto «di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara non
si deve seguire la politica che da lo zuccherino, ma quella del bastone
[…]credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari
a 50.000 italiani».
I mancati conti col nostro passato fascista,
dunque, impediscono di dare compiuta attuazione alle stesse disposizioni
del Giorno del ricordo che si propone da un lato di «conservare e
rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime
delle foibe e dell’esodo» e contestualmente di affrontare «la più
complessa vicenda del confine orientale». Senza una ridefinizione della
complessità storica le foibe vengono presentate come «pulizia etnica» o
come violenza perpetrata contro gli italiani in quanto tali.
In
realtà l’Esercito Popolare di Liberazione comandato da Josif Broz Tito
combatté contro tutti gli eserciti di occupazione e contro tutti i loro
collaborazionisti, indipendentemente dalla loro nazionalità: gli
ustascia croati, i cetnici serbi, i domobranci sloveni, i nazisti
tedeschi ed i fascisti italiani. E sostenne quella lotta di liberazione
con al fianco migliaia di soldati italiani unitisi alle formazioni
partigiane dopo l’armistizio. Contestualmente un gran numero di
jugoslavi deportati in Italia nei campi di internamento dopo l’8
settembre si unirono ai partigiani italiani nella Lotta di Liberazione
Nazionale da cui è nata la Costituzione della Repubblica.
L’uso
strumentale delle drammatiche vicende del confine orientale e delle
foibe ha trovato espressione, nella cronaca politica, negli scomposti
attacchi del ministro dell’Interno all’Anpi e nel paradossale voto della
commissione Cultura della Camera che, indice del grado di erosione
democratica del nostro tempo, vorrebbe impedire all’associazione dei
partigiani, che il Parlamento riaprirono dopo il terrore del ventennio
fascista, di parlare nelle scuole pubbliche del confine italo-jugoslavo
durante la seconda guerra mondiale.
Di quella storia invece è
indispensabile parlare. Rosario Bentivegna, comandante dei Gap a Roma e
combattente in Jugoslavia, insisteva sempre nel dire «più ancora di ciò
che abbiamo fatto noi partigiani si deve parlare di ciò che è stato il
fascismo. Solo così sarà possibile seppellirlo per sempre».