il manifesto 6.2.19
Decreto sicurezza, noi psicoanalisti non possiamo tacere
sono 621 le firme in calce a questa lettera
Noi
tutti, firmatari di questa lettera, siamo psicoanalisti appartenenti
alla storica Società Psicoanalitica Italiana (SPI), componente
dell’International Psychoanalytical Association (IPA), della quale fanno
parte società psicoanalitiche di tutto il mondo. Molti di noi fanno
parte di un gruppo denominato PER (Psicoanalisti Europei Per i
Rifugiati), con il quale la SPI ha inteso raccogliere le esperienze di
molti psicoanalisti che già da anni operano su tutto il territorio
nazionale nel settore della migrazione. Del Gruppo PER inoltre, fanno
parte anche psicoanalisti che appartengono al gruppo denominato
Geografie della Psicoanalisi che ha per scopo l’indagine e i contatti
della psicoanalisi con altre culture.
Grazie allo specifico sapere
psicoanalitico, in grado di cogliere la complessità del lavoro con i
migranti e con l’intero fenomeno che sappiamo essere attivatore di
grande sofferenza psichica, è stato possibile fornire un contributo
clinico scientifico in favore dei migranti e degli stessi operatori
delle varie associazioni che, essendo in diretto contatto con i
migranti, si fanno carico quotidianamente della sofferenza psichica di
cui essi sono portatori silenti.
È proprio quest’esperienza
quotidiana di contatto con il disagio psichico profondo e con la
sofferenza legata a traumi, sradicamento e lutto migratorio che ci
spinge a scrivere e ad assumere una posizione critica, ritenendo che non
si possa tacere sulle complesse e gravi condizioni in cui versano i
migranti in Italia.
La situazione, da tempo critica, si è
drammaticamente aggravata dopo il varo e l’approvazione del “Decreto
Sicurezza” che, contrariamente al termine “sicurezza”, sta già rendendo
la condizione dei migranti e, consequenzialmente quella italiana, sempre
più “insicura”. Concordiamo con quanto Lei afferma: “la vera sicurezza
si realizza, con efficacia, preservando e garantendo i valori positivi
della convivenza”.
Ed è proprio a partire da questa Sua
dichiarazione che pensiamo di poter affermare che la convivenza non è un
dato, ma una paziente tessitura da costruire nel quotidiano, sfidando
paure e diffidenze reciproche inevitabili. L’accoglienza e la convivenza
possono essere prove difficili quanto l’esilio ed è per questo che
vanno sostenute attraverso politiche e azioni sociali capaci di dare
ascolto anche al disagio della popolazione residente, evitando che si
radicalizzi quel cieco rifiuto che si sta attivando.
E’ grave
chiudere gli SPRAR, in quanto sistemi di “accoglienza integrata”, che
fino ad oggi non si sono occupati solo del sostegno fisico delle persone
immigrate, ma hanno anche promosso percorsi di informazione, assistenza
e orientamento, necessari a favorire un loro dignitoso inserimento
socio-economico. Precludere queste opportunità non vuol dire solo
annullare drasticamente gli SPRAR, ma cancellare ogni possibilità di
dare dignità alle persone sostenendo il loro legittimo diritto di
aspirare ad una vita migliore e alla salute che, come sancito dall’OMS,
“…è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non
solo l’assenza di malattia o infermità”.
La nuova legge, di fatto,
rende impossibile l’integrazione dei migranti in Italia, esponendoli
ancora una volta al rischio di umiliazioni e sofferenze psichiche
profonde e disumane, non riconoscere più il permesso di soggiorno per
motivi umanitari è disumano!
Gestire il fenomeno migratorio come
una pura questione di ordine pubblico è segno di pericolosa miopia. Noi
pensiamo che sia urgente ripensare completamente anche le politiche
migratorie, riaprendo, ad esempio, i canali regolari della migrazione da
lavoro, come opportunità per avvalersi dell’apporto di energie nuove
che sempre le migrazioni riuscite hanno rappresentato e che sono alla
base di ogni autentico processo di integrazione.
Quelli di noi che
operano a Bologna, Genova, Milano, Roma, Trieste, Gorizia, Venezia,
Caserta hanno visto, dopo l’approvazione della legge, da un giorno
all’altro, centinaia di migranti lasciati in strada senza protezione.
Diventati fantasmi, privati di tutto, uomini e donne che restano esposti
al pericoloso circuito vizioso alimentato dalla condizione di bisogno
estremo, vulnerabili e inermi, assoggettabili a contesti delinquenziali
che possono spingerli/costringerli verso comportamenti anti sociali.
E’
doveroso chiedersi da dove nasca questa ossessione per il migrante da
parte dei nostri governanti, che generano e alimentano paure sociali,
dal momento che gli sbarchi sono passati da circa 160.000 nel 2016 a
22.000 nel 2017.
Siamo consapevoli che le paure possono accecare
al punto da distorcere la percezione non solo dell’altro ma persino
della propria stessa umanità. La disumanità è un rischio costante per
l’umano in cui si può scivolare quasi inavvertitamente spostando sempre
un po’ più in là l’asticella di ciò che è tollerabile. E’ questa la
ragione per cui è ancora più necessario riuscire ad ascoltare anche
quello che si cela sotto la paura, per trasformarla in possibilità di
contatto con se stesso e con l’altro. Attraverso il nostro lavoro di
psicoanalisti siamo vicini alle complesse realtà umane e sentiamo
urgente lavorare e riflettere, anche al difuori del nostro ambito, sulla
possibilità di elaborare il “male” per prevenire il rischio che il
“male” possa essere agito.
E’ necessario operare affinché
l’inconsapevole distruttività, cui tutti siamo esposti, possa
trasformarsi in conoscenza e comprensione generatrice di consapevole
tensione verso il diverso, l’ignoto, l’altro.
Tragicamente sono
aumentati percentualmente i morti in mare per la restrizione quasi
totale della possibilità di operare salvataggi da parte delle navi di
soccorso. Chi soccorre in mare può, paradossalmente rispetto alle leggi
di mare, essere soggetto a processo per il reato di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina! Per non dire di ciò che accade nei
percorsi di terra e nell’attraversamento dei deserti.
Quanto poi
ai rimpatri, essi, di fatto, sono semplicemente impossibili in assenza
di accordi sicuri con le Nazioni di partenza. In questo contesto, è
molto grave che l’Italia non abbia partecipato al Global Compact for
Migration dell’ONU, accordo globale sull’accoglienza dei migranti
approvato con il voto favorevole di 152 Paesi.
Non possiamo
accettare il razzismo crescente che sfocia in atti di cui una nazione
civile dovrebbe vergognarsi. E’ in atto un diffuso, impressionante
processo di disumanizzazione. Noi analisti siamo sempre attenti quando
vediamo negli individui, nei piccoli e nei grandi gruppi, fenomeni più o
meno striscianti o palesi di razzismo e di disumanizzazione. Siamo
sensibili per formazione professionale e cerchiamo di tenere a mente
l’insegnamento della storia, anche perché nel periodo delle leggi
razziali, la psicoanalisi fu vietata e molti colleghi di allora, perché
ebrei, furono costretti a emigrare.
Operando nel settore, non
finiamo mai di stupirci di quanto dolore possa essere inflitto a un
essere umano, anche senza volerlo, anche solo girando la testa
dall’altra parte.
Conosciamo le gravi conseguenze psichiche di
tutto ciò che sta succedendo, sia in coloro che si sentono rifiutati ed
emarginati, sia nei figli che avranno, sia in coloro che si trovano a
dover operare in modo disumano e che rischiano essi stessi di
impoverirsi dei valori fondamentali dell’esistere. Non siamo disposti,
per tutti questi motivi, a vedere una parte dell’Italia abbracciare
xenofobia e razzismo. Organismi internazionali come Amnesty
International hanno segnalato questi gravi fenomeni razzisti e xenofobi
in Italia.
Un’altra Italia esiste e inizia a esprimere il proprio
profondo dissenso: noi ne facciamo parte. Lavoriamo affinché i valori
dell’ospitalità, della tolleranza, della convivenza e della
responsabilità individuale per il futuro di tutti, siano mantenuti vivi.
Siamo una “comunità di vita”, come lei ha definito il nostro Paese e,
come tale, vogliamo continuare a esistere. Non possiamo tacere perché
tacere sarebbe colpevole anche verso le generazioni future di figli e
nipoti che ci potranno chiedere dove eravamo quando un’umanità dolente e
in cerca della possibilità di ricostruire la propria identità spezzata e
perduta, veniva respinta, emarginata o segregata in modo disumano.
Ci
rivolgiamo a Lei, Signor Presidente della Repubblica, nella Sua qualità
di Garante dei diritti umani e civili sui quali Essa è stata fondata,
affinché questo appello, nato dalla nostra esperienza professionale,
sostenuto dal nostro ruolo di cittadini e dalla nostra identità di
esseri umani, abbia ascolto.