Corriere 6.2.19
Caso Cucchi, generale indagato per le relazioni «aggiustate»
Casarsa, ex capo dei corazzieri, accusato di falso. L’alto ufficiale nega
di Giovanni Bianconi
Le frasi scomparse
Dai documenti sparì il riferimento ai dolori al capo e al costato lamentati dall’arrestato
ROMA
Salendo un gradino dopo l’altro la scala gerarchica dei carabinieri
all’epoca dei fatti, l’inchiesta-bis sui depistaggi nel «caso Cucchi» è
arrivata a coinvolgere un generale di brigata. Si tratta di Alessandro
Casarsa, fino a un mese fa capo dei corazzieri in servizio al Quirinale,
attualmente in attesa di destinazione e nel 2009, da colonnello,
comandante del Gruppo Roma. È indagato per falso in atto pubblico,
insieme agli altri ufficiali già inquisiti per le manipolazioni di
almeno due relazioni di servizio sul detenuto arrestato la sera del 15
ottobre 2009 e deceduto una settimana più tardi al reparto carcerario
dell’ospedale Sandro Pertini.
Casarsa è stato interrogato una
decina di giorni fa dal procuratore Giuseppe Pignatone e dal sostituto
Giovanni Musarò, davanti ai quali ha sostenuto di essere estraneo a
qualunque manovra per intralciare la ricerca della verità sulla morte di
Cucchi, sia nel corso degli eventi che successivamente. Ma gli
accertamenti dei magistrati sulle «anomalie» di un’indagine che ha già
portato a un processo contro gli imputati sbagliati (gli agenti della
polizia penitenziaria assolti in primo e secondo grado), e continua a
svelare intralci anche mentre è in corso un nuovo processo a carico di
cinque carabinieri, non si fermano.
La vicenda di cui è stato
chiamato a rispondere Casarsa riguarda le annotazioni sulle condizioni
di salute di Stefano Cucchi redatte dai carabinieri Gianluca Colicchio e
Francesco Di Sano, ai quali dopo la morte del detenuto era stato
chiesto di riferire quello che avevano visto e sentito la notte
dell’arresto. Il luogotenente Massimiliano Colombo Labriola, comandante
della stazione dei carabinieri di Roma-Tor Sapienza già inquisito per
questo episodio, ha raccontato che le relazioni furono in seguito
modificate dopo l’intervento del maggiore Luciano Soligo, che guidava la
Compagnia e le riteneva «troppo particolareggiate», con «valutazioni
medico-legali che non competevano ai carabinieri».
Secondo Colombo
il maggiore (che da indagato si è avvalso del diritto di non rispondere
alle domande dei pm su indicazione del proprio difensore) parlava al
telefono con un superiore chiamandolo «signor colonnello», e fece
trasmettere per posta elettronica le annotazioni all’allora capo
dell’ufficio comando del Gruppo Roma, il tenente colonnello Francesco
Cavallo, il quale le rimandò indietro modificate, con l’indicazione
«meglio così». Dai documenti erano spariti i riferimenti a «forti dolori
al capo e giramenti di testa», nonché a difficoltà a camminare, tremori
e dolori al costato lamentati da Cucchi. Di Sano accettò di firmare la
relazione modificata, Colicchio no.
Ascoltato dai pubblici
ministeri, anche lui come indagato, Cavallo avrebbe spiegato di non
ricordare le modifiche ma che in ogni caso tutto ciò che fu fatto
all’epoca era concordato con il comando del Gruppo Roma, il quale
peraltro aveva rapporti diretti con i comandanti di Compagnia, senza
dover passare necessariamente da lui. E dato che il caso stava
suscitando grande clamore, se ne era occupato pure il suo diretto
superiore, il colonnello Casarsa.
Da questi e altri elementi,
Pignatone e Musarò hanno ritenuto di dover iscrivere anche il nome di
Casarsa (che nel frattempo era stato promosso ad altri incarichi
raggiungendo il grado di generale) nel registro degli indagati prima di
ascoltare la sua versione. Che oltre a escludere qualsiasi intento
depistatorio, non avrebbe aggiunto particolari sulle modifiche; sono
passati più di nove anni, ma tra i ricordi dall’alto ufficiale ci
sarebbe l’indicazione data ai carabinieri che avevano avuto a che fare
con Cucchi di essere il più precisi e dettagliati possibile nelle loro
ricostruzioni. Cioè il contrario di quanto recepito da chi trasmise
l’ordine di cambiare le annotazioni.