il manifesto 2.2.19
Unico negoziato: la resa di Maduro
Venezuela.
Guaidó chiude alla mediazione di Messico e Uruguay. E cita Desmond
Tutu: «Se sei neutrale in situazioni di ingiustizia, hai scelto il lato
dell’oppressore». L’Onu è pronta a inviare più aiuti, ma solo d’intesa
con il governo
di Claudia Fanti
È diventato
quasi un ritornello: «Fine dell’usurpazione, governo di transizione,
elezioni libere». L’autoproclamatosi presidente ad interim Juan Guaidó
lo va ripetendo da giorni, seguendo fedelmente il copione dettato dagli
Stati uniti. E lo ha ripetuto anche nella sua lettera ai presidenti
dell’Uruguay e del Messico, Tabaré Vázquez e Manuel López Obrador, in
risposta alla loro convocazione di una conferenza internazionale, il 7
febbraio, diretta a stabilire le condizioni per «un nuovo meccanismo di
dialogo» con l’inclusione di tutte le forze venezuelane.
UNA PORTA
SBATTUTA IN FACCIA ai due presidenti, con tanto di citazione di Desmond
Tutu – «Se sei neutrale in situazioni di ingiustizia, hai scelto il
lato dell’oppressore» – e di invito a schierarsi «dalla parte giusta
della storia». In nessun modo, ha ribadito Guaidó, «le forze
democratiche e le istituzioni legittime, e ancor meno il popolo del
Venezuela, accetteranno di partecipare a trattative dirette a mantenere
al potere con l’inganno chi viola i diritti umani». Cosicché l’unico
negoziato possibile è quello per definire la resa di Maduro, cioè «i
termini della fine dell’usurpazione» in maniera da dare avvio a «un
processo di transizione che culmini con la realizzazione di elezioni
libere».
UNA MEZZA PORTA IN FACCIA, tuttavia, l’ha ricevuta anche
Guaidó. Il colpo è arrivato dal segretario generale delle Nazioni unite
António Guterres, che, rispondendo alla sollecitazione, da parte del
leader dell’opposizione, di un incremento dell’aiuto umanitario, ha
risposto, attraverso il suo portavoce, Stephane Dujarric, che «le
Nazioni unite sono pronte a intensificare le proprie attività umanitarie
e di sviluppo in Venezuela», ma che a tal fine «si richiedono il
consenso e la cooperazione del governo». Cioè di Maduro.
Specificando
infatti come il riconoscimento dei governi non sia una prerogativa
della segreteria generale dell’Onu, ma degli stati membri, Guterres ha
dichiarato di rispettare «le decisioni» dell’Assemblea generale e del
Consiglio di sicurezza – schierati maggioritariamente a favore della
legittimità della presidenza Maduro – ed evidenziando il «ruolo chiave»
che la comunità internazionale può assumere per favorire «accordi
inclusivi», attraverso per esempio la conferenza convocata dal Messico e
dall’Uruguay.
UN’INIZIATIVA DIPLOMATICA, in realtà, viene anche
dall’Unione europea, per quanto chiaramente sbilanciata a favore di
Guaidó. Da Bucarest, infatti, l’Alta rappresentante Ue Federica
Mogherini ha annunciato la creazione di «un gruppo di contatto
internazionale per accompagnare il processo democratico verso nuove
presidenziali in Venezuela». Coordinato dalla Ue e composto da paesi
europei, tra cui l’Italia, e latinoamericani, il gruppo avrà 90 giorni
di tempo per creare le condizioni necessarie affinché i venezuelani
possano «esprimersi in modo democratico e pacifico con nuove elezioni
presidenziali».
MA PER QUANTO l’iniziativa accolga una richiesta
centrale di Guaidó, nella destra latinoamericana c’è pure chi l’ha
definita «inaccettabile»: il gruppo di contatto, ha esclamato su Twitter
la vicepresidente della Colombia Marta Lucía Ramírez, serve solo a dare
ossigeno «a una dittatura criminale, senza tener conto dei rischi per
la regione. Che direbbero se noi facessimo così con l’Europa?».
Anche
in ambito non governativo si cercano soluzioni, come quella – che
sicuramente non piace a nessuna delle due parti – di un referendum
consultivo vincolante in cui sia la popolazione venezuelana a esprimersi
a favore o contro la convocazione di elezioni generali (presidenziali
comprese). Una proposta che ha ricevuto il sostegno di circa 200
intellettuali e rappresentanti di organizzazioni sociali e politiche di
tutto il mondo, tra cui Edgardo Lander, Emiliano Terán Mantovani, Miriam
Lang, Maristella Svampa, Eduardo Gudynas, Pablo Solón, Raúl Zibechi.
Nomi, tutti questi, riconducibili alla sinistra più critica nei riguardi
del modello capitalista ed estrattivista portato avanti dai governi
progressisti latinoamericani.
La loro dichiarazione, non a caso,
non è certo tenera nei confronti di Maduro, accusato di governare
attraverso «uno stato di eccezione permanente» e di portare avanti
politiche che accentuano l’estrattivismo «a spese della società e della
natura».
MA PER I 200 FIRMATARI la creazione di uno stato
parallelo sostenuto dagli Stati uniti non farebbe che aggravare la
crisi, scatenando una devastante «guerra civile con partecipazione
internazionale» ed esponendo il paese al rischio di smembramento e di
«rapina da parte di diversi interessi internazionali», come «accaduto in
altre regioni del mondo».
Così, respingendo «l’autoritarismo del
governo Maduro», l’autoproclamazione di Guaidó e l’interventismo Usa, i
firmatari esprimono il proprio sostegno a soluzioni negoziate, come
quella del referendum consultivo, in cui sia il popolo venezuelano a
«decidere, democraticamente e dal basso, il suo destino», riannodando «i
processi di democratizzazione che aveva costruito ai suoi inizi la
rivoluzione bolivariana».