sabato 2 febbraio 2019

Il Fatto 2.2.19
Altro che razzista, il Klan è una “vittima”
Stati Uniti - Imbarazzo all’Fbi, rapporto accusa attivisti di violare i diritti dei suprematisti
Altro che razzista, il Klan è una “vittima”
di Giampiero Gramaglia


Che non si dica più che gli Stati Uniti non rispettano i diritti civili e sono insensibili alla loro tutela, solo perché ci si ricorda, un po’ confusamente, di avere visto Mississippi Burning o Easy Rider. L’Fbi ha recentemente aperto e condotto un’inchiesta per “terrorismo domestico” contro un gruppo che si batte in California per i diritti civili: nella circostanza, i ‘g-men’ si preoccupavano di tutelare i diritti civili di membri del KuKluxKlan e di neo-nazisti e suprematisti bianchi, considerando “estremisti” gli attivisti che li contestavano.
I fatti risalgono al 2016. Paradossalmente, la vicenda testimonia che gli Stati Uniti non solo sanno proteggere i diritti di chi si batte per la tutela dei diritti, come racconta il regista nero per eccellenza Spike Lee nel suo BlackkklansMen in lizza per l’Oscar – il film ambientato nel Colorado Anni 70 è basato su una storia vera -, ma si preoccupano pure di garantire la tutela dei diritti a chi si batte contro i diritti altrui.
Sembra un gioco di parole, ma è la ‘morale’ della notizia sviluppata da The Guardian, sulla base di documenti inediti, a partire dalla scoperta che i federali misero sotto sorveglianza il Bamn (By Any Means Necessary), un gruppo di sinistra, dopo che un militante nero era stato accoltellato durante una manifestazione di suprematisti bianchi. L’Fbi decise di appurare se c’era stata “cospirazione” del Bamn contro i “diritti” del KuKluxKlan e dei suprematisti.
I federali guardarono ai militanti del Kkk come “vittime” e ai contro manifestanti di sinistra come a “una potenziale minaccia terroristica”. Quanto alle provocazioni del Kkk, l’Fbi le derubricò all’espressione del pensiero “di sostenitori di un’agenda suprematista bianca”. I controlli sul Bamn portarono a mettere sotto sorveglianza elementi del gruppo: fra gli indizi della “deriva terroristica” furono inclusi le campagne del Bamn contro “strupri e aggressioni sessuali” e contro “la brutalità della polizia”.
Tutto ciò accadeva nell’America di Obama presidente, dove gli agenti sparavano su neri inermi anche per sfogare la frustrazione che ci fosse un nero alla Casa Bianca. Nell’America di Trump, oggi, forse non c’è più bisogno che l’Fbi garantisca i diritti civili dei suprematisti bianchi: ci pensa il magnate presidente a farlo, mettendo sullo stesso piano le violenze del KuKluxKlan e le proteste dei loro oppositori, come accadde, nel luglio 2017, dopo gli incidenti di Charlottesville che fecero una vittima nera.
Non a caso Spike Lee, volle che il suo film uscisse nell’anniversario di Charlottesville, un’estate fa. E attualizzò la pellicola con scene di quegli incidenti e con il discorso del presidente ‘equidistante’ tra i due gruppi, che innescò una nuova ondata di tensioni razziali. L’elezione di Trump ha ridato forza e vitalità al KuKluxKlan e l’avanzata, altrove nel mondo, di movimenti xenofobi e razzisti ne ha persino fatto un ‘prodotto da esportazione’: in Germania, la polizia ha smantellato un gruppo ispirato al KuKlux-Klan (si chiamavano ‘Cavalieri nazional-socialisti del KuKluxKlan in Germania’); e il neo-eletto presidente brasiliano Jair Bolsonaro, ha rifiutato in campagna elettorale l’appoggio del Kkk statunitense. Per la cronaca, l’inchiesta dell’Fbi a tutela del KuKluxKlan e contro il Bamn è stata un buco nell’acqua: s’è chiusa con un nulla di fatto, non essendo emerse prove a sostegno della tesi d’accusa.