il manifesto 1.2.19
Immunità, il voto di lotta e di governo strazia il M5S
Caso
Diciotti. I vertici pentastellati e il premier Giuseppe Conte alle
prese con i mal di pancia della base militante grillina. Molti senatori a
cinque stelle si sono convinti della linea a favore del vice premier
di Andrea Colombo
I
vertici pentastellati, soprattutto la delegazione al governo, e dunque
anche il premier in primissima persona, hanno una missione da portare a
termine entro il 22 febbraio, quando la Giunta del Senato voterà
sull’autorizzazione a procedere contro il ministro Salvini: convincere
la base del Movimento e gli elettori che negare l’autorizzazione per
Salvini non significa affatto derogare dei princìpi dei 5S, essendo
questo caso molto diverso da tutti quelli precedenti. Conte non si
risparmia: «Parlare di immunità è uno strafalcione giuridico. Definire
questo voto un salva-Salvini un falso». Il quesito, chiarisce il capo
del governo sulla falsariga di quanto aveva dichiarato nella relazione
introduttiva il presidente della Giunta Gasparri, è se il ministro
«abbia agito per il perseguimento di un interesse dello Stato
costituzionalmente rilevante o di un interesse pubblico o per i suoi
interessi personali».
Le cose non stanno proprio come le mette il
premier, ma neppure se ne discostano troppo. Come puntualizza lo stesso
Gasparri: «La ragion di Stato deve essere dimostrata e noi su questo ci
dobbiamo pronunciare». Non basta che il ministro provi di essere stato
animato da ottime intenzioni condivise da tutto il governo. Deve anche
riuscire a dimostrare che la sua percezione sull’interesse dello Stato
era fondata e giustificata. Per questo risulta così centrale l’assenza
di carte a sostegno del sospetto di presenze terroriste a bordo. Se ci
fossero, ma pare che così non sia, il problema sarebbe già risolto.
Ma
anche se la versione del capo del governo è edulcorata ed approssimata a
vantaggio del suo vice, la questione si pone effettivamente in termini
sideralmente distanti da quelli di una comune richiesta di
autorizzazione a procedere, nella quale tutto verterebbe intorno
all’esistenza o meno del fumus persecutionis. Per un partito di governo
che quella decisione non solo dice di aver condiviso ma fragorosamente
rivendica, non dovrebbe infatti essere difficile farsi convincere
dell’esistenza di quella ragion di Stato. Invece l’opera di convinzione
nella quale Conte è impegnato non è affatto semplice, soprattutto perché
né Salvini né i 5S si sono resi conto sino a un paio di giorni fa dei
veri termini in cui si pone la faccenda, e neppure di quanto siano
pericolosi per il vicepremier che, se sconfessato dal Senato, andrebbe
incontro a una probabilissima condanna.
Il problema non sono tanto
i senatori a 5 Stelle, molti dei quali sono già convinti anche se
quelli che invece vogliono a tutti i costi andare fino in fondo
rappresentano comunque un guaio serio dal momento che, se abbandonassero
il Movimento in caso di voto contro l’autorizzazione, ridurrebbero a un
paio di voti la già esigua maggioranza al Senato. Il punto dolente non
sono neppure gli elettori. Secondo un sondaggio Emg presentato ieri da
Agorà il 57% del campione è contrario all’autorizzazione, percentuale
che si impenna sino al 66% proprio tra gli elettori dell’M5S. Il
problema è quella parte sostanziosa della base militante pentastellata
per la quale non possono esserci dubbi a priori: se la magistratura
vuole processare un politico non ci si oppone per principio. Così il
partito di Di Maio rischia comunque l’emorragia, quella degli elettori
salviniani se spedisce il ministro alla sbarra, quello dei duri e puri
di antica data se non lo fa.
Per motivi diversi anche Salvini deve
convincere i 5S, altrimenti rischia davvero grosso. Incappa subito in
una gaffe, raccontando di aver messo al corrente della sua lettera al
Corriere Di Maio e Conte la sera precedente, affermazione subito fatta
smentire informalmente dal collega vicepremier. E deve riparare al danno
che si è arrecato da solo con le incaute dichiarazioni dei primi
giorni. I toni ora sono ben diversi: «Il processo sarebbe un’invasione
di campo senza precedenti. Il Senato dovrà dire se l’ho fatto per
interesse pubblico o per capriccio personale. Chi ha letto le carte sa
cosa è successo. Lascio a loro la scelta ma penso che voteranno di
conseguenza». È un messaggio chiaro che il ministro ripeterà quando,
mercoledì prossimo, si presenterà forse con una relazione, più
probabilmente di persona, al cospetto della giunta.