venerdì 1 febbraio 2019

il manifesto 1.2.19
Cuperlo: «Pd, cambiare forte. Se no consegneremo il paese alle destre per anni»
Intervista/Primarie dem. L'ex deputato: gli M5S? Si è esaurita la loro funzione di argine alla Lega Zingaretti cambi tutto, il consenso non viene dalle promesse fallite. Sul dialogo a sinistra ho letto le parole di D’Alema, sono di puro buon senso. Ma fa bene Nicola a fare la sua campagna guardando fuori. Serve aprire un enorme cantiere
intervista di Daniela Preziosi


«La fotografia di Domenico De Masi è drammaticamente vera. Sbaglieremmo a sottovalutare i troppi segni di una deriva autoritaria». Gianni Cuperlo, ex deputato Pd, si riferisce a quello che il sociologo ha detto al manifesto due giorni fa: «La sinistra va lentissima, e invece la Lega corre, l’Italia è a rischio Brasile».
Per citare un vecchio slogan del manifesto, allarme son fascisti? È un termine che alcuni diffidano dall’usare.
Preferisco parlare di germi autoritari. Cos’è il richiamo a “farsi votare” se non usare la rappresentanza come manganello contro chi dissente dal governo, Banca d’Italia, magistrati o informazione? Sui migranti si è detto tutto. Aggiungo che in quel “prima gli italiani” c’è anche l’ideologia di sangue e suolo, tema risolto da Karl Kraus: dall’impasto di sangue e terra viene il tetano. E poi il culto dell’incompetenza, il rifiuto di un pensiero critico, il disprezzo per ogni diversità fino al censimento culturale degli scienziati e manie di machismo corredate dall’amore fanciullesco per le divise.
I 5 stelle sono gli utili idioti, o ormai sono risucchiati dall’accelerazione leghista?
I 5 Stelle non hanno retto la prova del governo. Per una fase hanno arginato la spinta a destra, ma quella funzione si è esaurita quando hanno smesso di essere all’opposizione. Al governo sono esplose contraddizioni che Di Maio non è in grado di gestire. Al posto dell’urlo «onestà» devono studiare gli arzigogoli per garantire a Salvini l’impunità. Persino il reddito di cittadinanza, su cui è giusto discutere, si è risolto in un pasticcio. Sui migranti hanno subìto il cinismo leghista. Ma la capriola che in 24 ore li portò dall’impeachment per Mattarella a giurare al Quirinale diceva già tutto.
Nel Pd il dialogo con loro è una bestemmia, oggi più di prima?
Bestemmia è tenere dei disperati in ostaggio per giorni e purtroppo il vertice 5 Stelle ha scelto di bestemmiare.
E la sinistra che fa, si arrende?
Ma no. Dalla Cgil è venuto un segnale di unità. Il ruolo prezioso del sindacato si vedrà nella manifestazione del 9 febbraio. E se metto in fila cose diverse, la piazza spontanea di Milano contro Orbán, quelle di Riace, Roma e Torino, il moto solidale innescato dallo sgombero del Cara di Castelnuovo di Porto, vedo un paese meno muto di come lo si descrive.
Siamo arrivati al Pd. Il congresso fin qui non ha riacceso grandi speranze. Sbaglio?
La vera assenza in questo quadro è quella della sinistra politica. In parlamento facciamo il nostro dovere, ma il tema è fuori dai palazzi. Il congresso del Pd serve se rilancia una funzione di questa forza nella società. E il congresso non si vince solo nei circoli ma fuori da noi, se recuperiamo quell’iniziativa che dopo la sconfitta peggiore di sempre è mancata.
Ma il Pd fa opposizione al reddito con le parole di Confindustria. Come farà a recuperare il consenso popolare?
Quando perdi molto devi cambiare molto. Il punto non è gettare a mare tutto, ma peggio ancora quel tutto è rivendicarlo per intero senza una lettura critica di limiti ed errori.
Dietro Zingaretti si intravede la figura di un possibile nuovo candidato premier: quello vecchio, Gentiloni. Per non parlare dell’attivismo di Calenda. Con rispetto per le persone, non sembra la riproposizione di una linea di governo che gli elettori hanno già bocciato?
Zingaretti oggi è la proposta che più si fa carico di una svolta nella guida, nella squadra, nella strategia. Solo chi vive in un mondo a parte può pensare che dalle promesse fallite del governo derivi un recupero di consenso per noi. C’è da ripensare la proposta che rivolgiamo al paese.
Al congresso dei circoli ha partecipato la metà degli iscritti, dando per buoni i dati che circolano. Che succede se anche le primarie diventano un flop?
Portare decine di migliaia di iscritti a discutere è ossigeno per la democrazia. Poi, certo, vedo fenomeni di degenerazione. Ecco, amo tanto il pluralismo da detestare congressi che finiscono novantotto a zero. Non li vince il capobastone locale, li perde il partito. Anche per questo Nicola fa bene a condurre la sua campagna guardando fuori. Serve l’apertura di un enorme cantiere. Non a caso nel documento di SinistraDem a suo sostegno abbiamo parlato di un patto per l’alternativa e di una costituente popolare. Implicano di allargare il perimetro, costruire alleanze nella società, recuperare voti emigrati altrove. Ci si può riuscire ma servono umiltà e un’altra concezione del confronto.
E invece nel suo partito la sola idea di ‘riaprire il dialogo a sinistra’, espressa da D’Alema, ha scatenato l’ira di Dio.
Ho letto l’intervista, mi è sembrata di puro buon senso. L’ho trovata anche rispettosa verso un partito di cui riconosce il ruolo ma che oggi non è più il suo.
Giachetti dice che se Zingaretti riapre alla sinistra se ne va. A occhio invece Zingaretti sembra rischiare più dal versante del continuismo con il Pd precedente. Non è che alla fine cambiate segretario per non cambiare niente?
È la cosa che non possiamo fare. Dopo le sconfitte la sinistra si è sempre rialzata mettendo in campo una discontinuità. Fu così con l’Ulivo di Prodi dopo la prima vittoria di Berlusconi. È stato così col Pd. Dopo le due sconfitte, al referendum del 4 dicembre e il 4 marzo di un anno fa, scegliere la continuità è il modo per consegnare l’Italia alla destra peggiore per i prossimi anni.