il manifesto 10.2.19
San Giovanni a tre colori: «Finalmente in piazza»
Il
Corteo. La maggior parte dei manifestanti è partita di notte da tutta
Italia: «Era proprio ora di tornare in corteo». Il serpentone che esonda
il percorso per la troppa gente
di Riccardo Chiari
Le
antiche regole della piazza dicono che una manifestazione è riuscita
quando un corteo rompe gli argini del percorso fissato ed esonda nelle
grandi vie limitrofe, felicemente anarchico e confusionario, lasciando i
ritardatari ancora alla partenza mentre all’arrivo sono già in corso
gli interventi dal palco. È quello che è successo alla prima
manifestazione unitaria dei sindacati confederali dopo sei lunghi anni,
baciata da un sole promettente, vissuta anche di corsa da chi è arrivato
a Roma da tutti gli angoli della penisola. Perché i pullman non
aspettano, e il viaggio di ritorno già incombe.
«SIETE TANTI –
tirerà le somme Maurizio Landini – e molti devono ancora arrivare qui in
piazza San Giovanni. Ma noi i numeri non li diamo, ce ne sono già
troppi che danno i numeri, e allora diciamo: contateci voi». Gli esperti
diranno 200mila, gli ottimisti il doppio. Ma davvero non importano i
numeri, quando le prime parole che macchiano il taccuino del cronista
sono invariabilmente: «Era ora»; «Ci voleva»; «Sempre troppo tardi»; «È
solo l’inizio».
Solo dalla vicina Toscana sono stati organizzati
più di 120 pullman, con partenza alle 5 del mattino, mentre i pugliesi e
i veneti sono partiti a mezzanotte e a mezzanotte torneranno a casa.
Quanto ai sardi, in mille sono partiti la sera prima in nave da
Cagliari, e altri 600 da Olbia. Fra i mille volti di chi per vivere deve
lavorare piace ricordare i ragazzi e le ragazze di Foodora, che
arrivati a Cinecittà si mettono il vestito di tutti i giorni, con le
grandi sacche porta-cibo agganciate alla schiena.
SI DEVE ANCHE
RICORDARE, con commozione, Claudia Sorgato, 49 anni, delegata storica
della Funzione pubblica Cisl di Padova, che si è sentita male prima
dell’alba in un’area di sosta sul raccordo anulare. Un infarto l’ha
strappata alla vita e ai suoi cari, tutti i soccorsi, pur immediati,
sono stati vani. Questa gigantesca manifestazione è anche per lei, che è
comunque arrivata a Roma.
Quasi si era persa la memoria
dell’effetto cromatico di una manifestazione unitaria: le rosse bandiere
della Cgil, l’azzurro intenso delle pettorine e dei labari della Uil,
il biancoverde a righe orizzontali della Cisl. In via Fontana c’è un
capannello con al centro un sorridente Nicola Zingaretti, a suo agio
mentre scambia battute e strette di mano con i manifestanti. Dalle
dirette dei social network rimbalzano foto che fanno divertire, compresa
quella con Sergio Cofferati e Massimo D’Alema ritratti insieme, e con
Guglielmo Epifani a chiudere il cerchio.
La sgarrupata ma ancor
viva sinistra italiana, in tutte le sue variegate declinazioni, ha i
sorrisi di Laura Boldrini ed Edoardo Speranza, di Nicola Fratoianni e
Maurizio Acerbo, anche loro in cammino verso piazza San Giovanni insieme
agli spezzoni dei loro partiti. C’è anche Maurizio Martina, che è
dipinto da alcuni come l’erede di Matteo Renzi. Ma Renzi a una
manifestazione che chiede più giustizia sociale, più lavoro di qualità
con diritti e tutele, e rispetto per chi ha lavorato una vita ed è oggi
in pensione, non c’è mai stato.
«ERA ORA – RACCONTA la romagnola
Eliana Rosa – dobbiamo smetterla di pensare che i 5 Stelle siano di
sinistra, perché hanno delle ambiguità grandi come case«. «Ci voleva –
confermano i metalmeccanici reggiani Lucia Selmi e Paolo Di Bernardo,
orgogliosamente Fiom – ed è solo l’inizio perché si può fare ancora
meglio. Ripartendo da quello che il senso più profondo del sindacato.
Ora non dobbiamo sederci e aspettare, lo abbiamo fatto fin troppo.
Muoviamo il culo, e andiamo avanti».
Isabella Zibiello viene da
Napoli, ha la pettorina della Cisl, e tira le somme di quanto sta
accadendo tutto intorno a lei: «Si sono mossi da tutto il paese per
venire qui, vuol dire che c’è un male dentro. Specialmente per i
giovani, che fanno domande di lavoro e inviano curriculum, per sentirsi
sempre rispondere “ti faremo sapere”… E poi non succede nulla».
Giuseppe
e Iacopo Tognazzi vengono da Tivoli ma ci tengono a sottolineare le
origini senesi, hanno entrambi il manifesto ripiegato nella tasca del
giaccone, e sono padre e figlio: «Io dello Spi – spiega sorridendo
Giuseppe – e lui della Filcams. Pensa un po’, mio padre era scalpellino,
io invece ho lavorato in banca: evidentemente in quegli anni
l’ascensore sociale funzionava». «Io invece sono impiegato in una
società di servizi – prosegue Iacopo – mentre i figli della mia compagna
di vita fanno i precari nei supermercati. Io penso che questo sia
esemplificativo di quello che sta accadendo in questo paese».
CON
VIA MERULANA STRAPIENA, il corteo entra anche in viale Emanuele
Filiberto, frammisto a turisti divertiti che, con la loro maglietta
rossa del Galles in attesa di andare a vedere i dragoni al Sei Nazioni
di rugby, si intonano perfettamente al contesto. Hanno due sgargianti
magliette azzurre della Uilm invece Giuseppe Autelli e Giuseppe
Spediacci, arrivano da Bari dove lavorano insieme alla Skf,
multinazionale leader dei cuscinetti a sfera. «Ne valeva la pena di
essere qui, c’è anche il sole, che rende tutto ancora più bello». Nel
mentre Maurizio Landini dal palco ricorda: «C’è l’unità di questa
piazza, per unire il mondo del lavoro. E lo dobbiamo a Susanna Camusso,
ad Anna Maria Furlan e a Carmelo Barbagallo, che hanno iniziato a
settembre a organizzare questa giornata». A salutarlo, fra i tanti, uno
striscione con su scritto: «Meno stati sui social, più stato sociale».