sabato 9 febbraio 2019

Il Fatto 9.2.19
Pd Primarie senza soldi. Così Renzi può farle fallire
Casse vuote. Ci sono solo 550 mila euro e tutti per la propaganda social. Il tesoriere accusa i morosi
di Wanda Marra


Per le primarie, Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd ancora in carica, nonché amico fraterno di Renzi, ha stanziato 550 mila euro. E – almeno per ora – li ha investiti tutti sulla comunicazione social. Non sono previsti né manifesti, né spot. Tutto è sulle spalle dei singoli candidati che, comunque, da regolamento, non possono spendere più di 200 mila euro a testa.
Sempre che poi i 550 mila euro restino: perché due giorni fa lo stesso Bonifazi ha informato le rappresentanze sindacali del Pd (i cui 170 dipendenti sono tuttora in cassa integrazione) che per far quadrare i suoi conti mancano 500 mila euro. Motivo? Una serie di parlamentari non avrebbero pagato il contributo dovuto al Pd (1.500 euro al mese solo al nazionale, più un contributo variabile al regionale). E dunque, ha inviato una lettera ai morosi per chiedere i soldi. Sottotesto: se non pagate, la campagna per le primarie non si può fare.
Annuncio e tempismo quantomeno sospetti: perché il piano di Renzi di far fallire i gazebo e dunque di indebolire il neo-segretario (ovvero, l’ultrafavorito Nicola Zingaretti) e dare il colpo finale al Pd, non è un segreto per nessuno. E passa, prima di tutto, per un numero basso di votanti alle primarie. Che già si profila. Nei circoli, hanno votato in 189.023 su 374.786 iscritti. Meno della metà. Un sondaggio di Emg Acqua, presentato ad Agorà, svelava l’intenzione del 64% degli elettori Pd di non andare ai gazebo. Nelle consultazioni che elessero Renzi nel 2017 a votare furono circa 1 milione e 800 mila persone. Se stavolta saranno meno di 1 milione (timore di molti nel Pd) scatterà in automatico la delegittimazione del segretario.
Lo zoccolo duro del partito ormai è composto soprattutto da persone di mezza età e da pensionati. Non esattamente quelli che si informano sui social. Ancora: il responsabile social del Pd è Alessio De Giorgi, vicinissimo a Renzi.
Altro indizio sospetto: tra i parlamentari “morosi” fatti filtrare dal Nazareno, ci sono prima di tutto quelli considerati “i traditori”. Ovvero, i sostenitori di Maurizio Martina. A partire da Matteo Richetti, per arrivare a Antonello Giacomelli, animatore della corrente lottiana che non si sposta su Roberto Giachetti e a Graziano Delrio, sospettato addirittura di voler passare con Zingaretti. Oltre a big come Andrea Orlando, in minoranza da tempo. Gli interessati, a partire da Giacomelli e Richetti, assicurano sdegnosamente di aver pagato il dovuto. Ma il tesoriere tiene il punto: quello che non hanno versato sarebbe il contributo forfettario (quantificabile almeno intorno a 10 mila euro) per la candidatura nel collegio plurinominale.
Tra i segnali (più simbolici che altro) del fatto che il Pd è in via di smantellamento, anche la decisione di Roberto Morassut di vendere il suo camper (usato, per dire, nelle primarie per la candidatura a sindaco di Roma), tramite annuncio su Facebook. In questo caso, non c’entrano le casse vuote del partito, ma il fatto che andare in giro con i simboli del Pd non porta più consenso e neanche lustro. E poi, nessuno sa esattamente quanti soldi abbia in cassa il Nazareno. Il bilancio 2017 si chiuse con un attivo di 555 mila euro, a luglio arriveranno i 7 milioni di euro del 2×1000. E anche se i conti sono sostanzialmente in equilibrio, Bonifazi ha fatto sapere di non voler mettere più di 300 mila euro sullo scivolo per parte dei dipendenti in cassa integrazione. Accusa sempre i morosi. Lo stesso tesoriere ha stanziato tra i 300 e i 500 mila euro per la campagna elettorale per le Europee. Troppo pochi perché il neosegretario del Pd riesca a risollevare un partito già in crisi.