Corriere 9.2.19
Idee
Brevi saggi per orientarsi in questi «tempi agitati»: l’agile guida realizzata da Mauro Bonazzi per Ponte alle Grazie
Il
buon politico: Pericle discute con Protagora: le parole non sono neutre
ma sono lo strumento per costruire una prospettiva condivisa
Pensieri antichi per capire l’oggi
Così la filosofia spiega il presente
di Eva Cantarella
Non
è facile rendere conto di tutti gli argomenti trattati nel libro di
Mauro Bonazzi Piccola filosofia per tempi agitati (Ponte alle Grazie), i
tempi nei quali viviamo: sono tanti e diversissimi, unificati dal fatto
di offrire suggerimenti che possono aprire uno spiraglio per affrontare
questo nostro complesso confusissimo mondo. Ma in che modo, con quali
armi? Quelle della filosofia, la disciplina nata per insegnare non cosa
ma come pensare, che aiuta a ordinare le idee e a scegliere
razionalmente tra prospettive diverse. È un invito, quello che viene da
questo libro, all’esercizio del pensiero, lo strumento più potente di
cui possiamo disporre, come Bonazzi ci mostra selezionando e
raccogliendo una serie di testi tratti dai suoi interventi su «la
Lettura», sul «Corriere della Sera» e su «il Mulino».
Partiamo da
un esempio, la celebre affermazione di Diogene il Cinico, che,
interrogato su quale fosse la sua patria, dichiarò di essere «cittadino
dell’universo». Una risposta su cui riflettere oggi, in un universo
dove, accanto a diversi sistemi di valori, trovano spazio e consenso
slogan come «America first» (o altri Paesi tra i quali purtroppo a volte
anche l’Italia). E accanto ai filosofi ecco i poeti, che ci inducono a
ragionare, ad esempio, su «le tentazioni della vendetta»: come Eschilo,
che nel 458 avanti Cristo, nell’Orestea, mise in scena le atrocità che
avevano accompagnato la storia degli Atridi, a partire dall’uccisione di
Agamennone per mano della moglie Clitennestra, che voleva vendicare i
torti che questi le aveva fatto. Ma nella logica della vendetta la morte
di Agamennone imponeva al figlio di questi di uccidere la madre. Solo
il diritto può fermare le violenze che derivano dai desideri di
vendetta, dice l’Orestea, nella quale queste terminano solo con
l’istituzione del primo tribunale ateniese, al quale spetterà decidere
la sorte di Oreste.
Ma torniamo alla filosofia, questa volta
intesa come strumento della buona politica: e il pensiero va a Pericle,
che tra le cure e le preoccupazioni del governo di Atene trovava il
tempo per discutere con i filosofi. Una volta, si diceva, aveva passato
un’intera giornata a discutere con Protagora il caso di un giovane che,
lanciando il giavellotto, aveva colpito e ucciso un compagno di gara. Di
chi era la colpa, si chiedevano Pericle e Protagora: del giavellotto o
di chi lo aveva lanciato? Naturalmente la storiella voleva ridicolizzare
quegli strani, nuovi filosofi che erano i sofisti, tutt’altro che ben
visti negli ambienti più conservatori, dei quali Pericle era amico. Ma,
scrive Bonazzi, la grandezza del politico Pericle è tutta qui: nel saper
valutare i «fatti alternativi», veri o falsi che fossero, discuterne,
non aver mai abdicato all’uso della ragione; e nell’abitudine di parlare
in pubblico solo nelle occasioni ufficiali, senza insultare o inveire.
Una scelta fondamentale per un politico (e anche per chi non essendo
tale, vuol vivere in una società civile tale): le parole non sono
qualcosa di neutro, che serve semplicemente a indicare una realtà di per
sé evidente. Così non è, la realtà è plurale, perché dipende dai punti
di vista, che sono molteplici. Le parole sono lo strumento che può
permetterci di costruire una prospettiva condivisa.
Ed eccoci
all’ultima parte del libro, dove viene data la parola a uno dei più
grandi scienziati del Novecento, Julius Oppenheimer, che nel pieno degli
esperimenti della bomba atomica dichiarò che «i fisici hanno conosciuto
il peccato, ed è una conoscenza che non potranno mai perdere». Una
frase chiaroveggente, che in poche parole descrive un tratto
caratteristico della condizione moderna.
Inseriti nel racconto
dell’albero della conoscenza del bene e del male, di cui Adamo ed Eva
colsero i frutti, i saperi scientifici sono il serpente grazie ai quali
la nostra conoscenza dell’universo è radicalmente cambiata, così come
quella della vita umana, ma che può avere anche conseguenze disastrose.
In un futuro che ci fa intravedere ulteriori mai immaginate scoperte si
prospetta sempre più la possibilità che il desiderio di conoscenza,
prendendo il sopravento sulle preoccupazioni etiche, conduca alla
perdita o all’indifferenza della distinzione tra il bene e il male. Ma è
proprio di fronte a simili rischi che le scienze umanistiche possono e
devono continuare ad avere un ruolo. I saperi scientifici e il confronto
con loro sono indispensabili e fuori discussione, ma non sono i soli a
poter dare risposte sulla realtà delle cose: a contribuire a darle
possono essere, se ad essi si affiancano, il linguaggio e le strade
diverse seguite dagli umanisti.
Anche se moltissimi sarebbero gli
altri possibili spunti, a quanto sin qui visto basterà aggiungere che
questo libro, oltre a essere un’importante occasione di informazione e
di riflessione, è anche di scorrevole, facile e piacevolissima lettura.