Il Fatto 8.2.19
Il sindacato torna in piazza: la notizia è buona per tutti
di Salvatore Cannavò
Si
possono fare tutti i distinguo che si vogliono, ma che il sindacato
torni a manifestare è una buona notizia. Perché scendere in piazza,
protestare, scioperare se è il caso, e poi ottenere risultati è
esattamente il mestiere del sindacato. Se c’è un appunto che si può fare
al sindacalismo confederale è di averlo fatto a volte poco, a volte
male, a volte in chiave pregiudiziale: cioè per decisione politica,
contro la destra e, poi, di fronte a politiche analoghe, graziando la
sinistra al governo. L’assenza di iniziativa efficace contro la “riforma
Fornero” parla chiaro.
Se c’è, però, una cosa che non si può
rimproverare alla Cgil e alla Uil – la Cisl si sfilò – è quella di non
aver manifestato quando al governo c’era il Pd. La manifestazione
nazionale del 25 ottobre 2014 e poi lo sciopero generale del 12 dicembre
segnarono un punto di svolta in particolare per il sindacato “rosso”
che, rompendo il cordone ombelicale con il partito di riferimento,
all’epoca guidato da Matteo Renzi, imboccò allora la strada che ha
portato alla segreteria di Maurizio Landini. Se ha scioperato contro il
Pd la Cgil può benissimo manifestare contro il governo Lega-M5S.
La
condizione che si può chiedere ai sindacati – da parte dei lavoratori,
non certo da parte del governo – è però che siano chiare le parole
d’ordine e chiari gli obiettivi. Siamo in una fase in cui, infatti, è
bene che le forze in campo siano limpide e trasparenti e giochino una
partita che rimobiliti la società, faccia crescere la partecipazione e
alimenti un dibattito sano. E questo è possibile se le rivendicazioni
non siano generiche e urlate, ma facciano parte di un preciso disegno di
cambiamento.
Ieri il segretario della Uil, Carmelo Barbagallo
(noto ai lettori per vicende che con il sindacato non hanno nulla a che
fare) ha dichiarato che la manifestazione “non è contro il governo” ma
si fa per “cambiare di più”. Affermazione solo in parte vera, perché sul
terreno delle politiche migratorie Landini ha già dichiarato più volte
che la Cgil intende opporsi apertamente alla strategia del ministro
Matteo Salvini. Un comportamento logico per un sindacato che ha i
riferimenti culturali e politici come la Cgil. Semmai, stupisce che non
lo abbia fatto prima, almeno con la forza che ci sta mettendo Landini.
Se
si manifesta per “chiedere di più”, allora, occorre ascoltare nei
comizi e nelle piazze parole chiare sulle pensioni, sul salario,
sull’orario di lavoro e anche sul reddito di cittadinanza. Se si
contrasta quello proposto dall’attuale governo occorre spiegare bene
cosa si chiede e capire se si appoggia la tesi “lavorista” che aggancia
sempre e comunque un reddito al lavoro, purché sia, o se invece si
considera, e come, con quali risorse, un sostegno sociale per chi il
lavoro – vero e dignitoso – non lo trova.
Dal lato del governo,
invece, sarebbe meglio dismettere quel nervosismo che in passato ha
caratterizzato la premiership di Renzi. A un sindacato che manifesta, a
dei lavoratori che sacrificano una giornata del loro tempo – a oggi si
stimano almeno 100 mila partecipanti – non si dice che verranno in
piazza “per un biglietto pagato e un pranzo offerto” come ha fatto
l’europarlamentare M5S, Ignazio Corrao. Meglio approfittare di una
occasione di dialettica sociale – di cui si sentiva la mancanza – per
discutere nel merito dei temi, manifestare le proprie ragioni e, come
sempre, giocarsela di fronte al mondo del lavoro. Chi ha interesse a
migliorare davvero le condizioni di chi, per vivere, ha bisogno di
lavorare, non può che ritrovarsi dalla stessa parte.