giovedì 7 febbraio 2019

Il Fatto 7.2.19
Il reddito non piace al Pd classista
di Daniela Ranieri


La sinistra italiana (non ridete, esiste: fa riferimento un po’ a Renzi e frattaglie, un po’ a Calenda, un po’ agli ectoplasmatici candidati alle primarie del Pd) si erge indignata contro il Reddito di cittadinanza, quel dispositivo partorito per i poveri nella sordida fabbrica di illusioni del M5S. Bene, era ora che l’opposizione si facesse sentire. Purtroppo, con nostro sincero sconcerto, il principale appunto che gli eredi di Berlinguer muovono alla misura non viene dalla sinistra del loro cuore, ormai atrofizzata nel cinismo degli arrivati; bensì da quell’inestirpabile, servile, interiorizzato classismo che li contraddistingue da almeno 10 anni.
La linea la detta Carlo Calenda, pompatissimo da Repubblica e da se stesso come prossimo leader di un partito al 30% – percentuale plausibile se si limitasse il suffragio a tre condomìni dei Parioli, l’area C di Milano e 6 delle 7 madamine Sì Tav che non votano l’ex compagna Ghiazza, lanciatissima verso proprie elezioni. “Berlinguer sarebbe inorridito davanti a un sussidio superiore a un reddito da lavoro”, ha twittato il trascinatore di folle, il che, a leggere tra le righe, potrebbe voler dire o che i salari secondo Calenda sono troppo bassi, evento evidentemente imprevedibile e inevitabile come le calamità naturali; oppure che il Rdc secondo Calenda è troppo alto, ipotesi che temiamo come più verosimile.
Siccome semmai il Rdc ricalca il Rei di Gentiloni aumentandolo un po’ ed estendendolo a una platea più larga, ci chiediamo cosa dia tanto fastidio ai suoi critici. Avessimo capito male, Calenda chiarisce: “Il Rei eroga sussidi inferiori al reddito di cittadinanza. Ed è esattamente quello di cui sto parlando. Un sussidio non può superare il reddito da lavoro”. Eh sì, voleva proprio dire quello che pensavamo: il Rdc è troppo alto, ergo va abbassato, perché meglio avere tra i nostri concittadini eserciti di zombie senza pane che, Dio non voglia, fare concorrenza sleale ai salari che le imprese elargiscono graziosamente ingrassando il loro intoccabile Sacro Profitto. “Un sussidio non può superare il reddito da lavoro”: così è scritto.
Si è subito accodata l’autorevole ex ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca Valeria Fedeli, che dall’alto della sua terza media e del suo meritato stipendio monita: “Chi lavora 8 ore al giorno prenderà molto meno di chi avrà il #redditocittadinaza (sic). Questo è contro cultura del lavoro”. Cultura del lavoro dal suo partito così faticosamente costruita attorno al principio che fosse lecito lavorare 8 ore al giorno e restare sotto la soglia di povertà dei 780 euro.
I competenti non trovano da ridire sul fatto che ai beneficiari del Rdc venga imposto di spendere tutto l’ammontare della somma erogata entro il mese pena il suo azzeramento, cioè non criticano del sussidio la natura di carburante appena sufficiente a vivere e a produrre un doping della domanda, cosa che, come dice Rizzo del Partito Comunista, produce una torsione irreversibile della cultura del lavoro in cultura del consumo e trasforma i proletari di un tempo in cavie del neo-liberismo all’ingrasso.
Quello che gli preme nel petto, a questi miliardari e/o miracolati, è manifestare l’insopprimibile fastidio per il fatto che l’idea-bandiera dei 5Stelle concorra e vinca sul reddito da lavoro di molti italiani, sconcezza che non li ha mai portati sulle barricate. Anzi, col Jobs Act, che è costato una ventina di miliardi in sgravi fiscali alle imprese per i cosiddetti contratti a tutele crescenti (che non hanno spostato di un centimetro l’occupazione stabile), hanno incoraggiato la frana dentro la palude della precarietà e della povertà di persone che pure lavorano, cioè la non-cultura del lavoro basata sul principio che i diritti delle persone devono essere calpestati e il loro lavoro svalutato materialmente e simbolicamente a vantaggio della spinterogena narrativa dell’Italia che riparte.
Finché i poveri erano polli da batteria da allevare nei call center o nelle start-up o pennuti da spennare agitando davanti ai loro occhi la mancetta degli 80 euro prelevati dalle casse dello Stato, a quelli del Pd andava benissimo. È adesso, che quelli battono cassa pretendendo di sopravvivere anche se sono disoccupati, che gli statisti amici dei padroni si mobilitano e ritrovano l’antica fiamma della politica.
Tralasciamo di riportare le altre miccette anti-Rdc e anti-poveri sparate dai pidini cultori del lavoro, come quelli che dileggiano il “bibitaro” Di Maio e come la povera Boschi che, da figlia di banchiere, irride i beneficiari dèditi al divano e a una “vita in vacanza”.
L’eventualità che questa disputa in punta di penna condotta dalle migliori menti del Pd possa trovare soluzione solo in una crescente miseria tanto per chi non ha lavoro quanto per chi ce l’ha, non li riguarda, o comunque non li commuove.