Il Fatto 7.2.19
Concita De Gregorio
“Pago le cause di Berlusconi all’Unità, il Pd si è dileguato”
Da
8 anni è condannata a rifondere i danni per le sentenze di
diffamazione: “Dovrebbe farlo l’editore, che però fa finta di niente”
di Salvatore Cannavò
Ci
sono molti modi di umiliare la libertà di stampa e il lavoro dei
giornalisti. Da otto anni Concita De Gregorio, storica firma di
Repubblica, ex direttrice dell’Unità, ne sperimenta uno particolarmente
subdolo: “Ogni centesimo che ho guadagnato mi è stato sequestrato per
pagare le cause civili dell’Unità al posto di un editore che nel tempo
si è fatto nebbia”. Cioè, è scomparso dietro i tecnicismi del concordato
fallimentare. Quell’editore, la Nie, Nuova iniziativa editoriale, di
fatto è il Partito democratico che dello storico giornale fondato da
Antonio Gramsci ha mantenuto il controllo nel corso del tempo.
Perché dici di pagare per responsabilità non tue?
Perché
nel 2008 vengo chiamata da Renato Soru, astro nascente
dell’imprenditoria italiana, per assumere la guida dell’Unità. Accetto
senza essere mai stata iscritta al Pci o al Pd, ma perché in quegli
anni, Berlusconi che torna al governo, il Bunga bunga che avanza, mi
sembra giusto impegnarmi per fare qualcosa.
La direzione dell’Unità dura dal 2008 al 2011.
Tre
anni di opposizione in cui lo scontro con Berlusconi e il suo governo è
totale. Noi la conduciamo con un giornale aperto, plurale, anche ‘pop’,
ma pieno di nuovi talenti.
Tu lavoravi a Repubblica?
Mi
licenzio per andare a guadagnare meno della metà. Portiamo l’Unità a 75
mila copie per poi scendere a 50 mila: una cifra non indifferente.
Quando il segretario del Pd diventa Pier Luigi Bersani, mi chiama Matteo
Orfini, allora responsabile dell’Informazione, e mi spiega che è venuto
meno il rapporto di fiducia.
Ed è qui che comincia il calvario.
Quando
la Nie, il mio editore, chiude con un concordato preventivo, tramite il
quale cede la testata alla cordata guidata dall’imprenditore Pessina (e
partecipata anche dal Pd, tramite la Eyu, ndr.) dismette la
responsabilità civile per le cause di diffamazione. In quanto direttore,
e in base alla legge sulla stampa del 1948, rispondo in solido per
tutte le cause civili. Pago io, quindi, al posto dell’editore.
Le cause non riguardano tue colpe precise?
In
35 anni non ho mai perso una causa per diffamazione, non ho mai dovuto
rifondere alcun danno. Se pago è solo per condanne che riguardano
l’editore e i giornalisti sotto la mia direzione.
Da dove provengono le cause?
Le
più importanti hanno nomi scontati: Berlusconi Paolo, Berlusconi
Silvio, il generale Mori, la famiglia Angelucci, Fedele Confalonieri,
Augusto Minzolini, Mediaset… e così via. Sono liti temerarie. Ma costano
sia in termini di spese legali sia per le sentenze cautelative che
dispongono pignoramenti e sequestri fino al giudizio definitivo.
Parliamo di milioni di euro.
Come è possibile che Nie non sia responsabile?
In
realtà io posso rivalermi su Nie, una sentenza del 2017 mi ha dato
ragione su questo. Ma a chi mi rivolgo? In quella scatola non c’è
nessuno che si assuma la responsabilità.
E il Pd?
Ne ho
parlato con Lorenzo Guerini e Luca Lotti. La risposta è stata la stessa:
tecnicamente non siamo gli editori e la legge non ci impone nulla. Ma
qualcuno può davvero sostenere che il Pd non fosse l’editore dell’Unità?
Con Matteo Renzi hai mai parlato?
Non
si è mai fatto vivo e io non l’ho cercato. Anche perché non lamento
niente. Io ho la forza di difendermi da sola, ma vorei difendere i
ragazzi che fanno questo mestiere con editori volatili.
Servirebbe una legge?
Servirebbe
una norma che affermi che in caso di fallimento di un editore non siano
i giornalisti a pagare per colpe non loro. Mi pare un principio di
civiltà, e di difesa del nostro mestiere. L’Ordine dei giornalisti e il
sindacato di categoria dovrebbero occuparsene seriamente. La minaccia
economica sul nostro mestiere è più subdola di altre e va contrastata
con forza.
Ti rimproverano di aver fatto chiudere l’Unità e di essere solo una radical chic.
Dopo
di me ci sono stati sei direttori e l’Unità ha chiuso dopo sette anni.
Io ho sempre vissuto del mio lavoro e non posseggo nient’altro che la
mia dignità e la passione per questo mestiere. Non possono farmi
smettere di farlo, lo farei anche gratis perché è tutta la mia vita.