Il Fatto 6.2.14
L’anonimo ingegnere che sogna di portare la democrazia
di G.G.
Juan
Guaidó era un liceale di neppure 16 anni quando Hugo Chavez divenne per
la prima volta presidente del Venezuela: se vivi gli anni della
formazione dentro un regime, o ne sei plagiato (e ne divieni un fan),
oppure ne cresci viscerale oppositore. Guaidó, cattolico, ingegnere per
formazione, è diventato il leader dell’opposizione ed è ora
l’autoproclamato presidente del Venezuela, l’‘anti-Maduro’ delle piazze,
ma anche l’uomo su cui punta l’America di Trump, che l’ha mandato
avanti coprendogli le spalle.
A incidere sul carattere di Guaidó,
più dell’ascesa alla presidenza di Chavez fu, pochi mesi dopo, nel
dicembre del 1999, la tragedia di Vargas, lo stato costiero a nord di
Caracas dov’è nato e cresciuto: le piogge torrenziali causarono
alluvioni e fiumi di detriti, che uccisero decine di migliaia di persone
– le vittime stimate furono tra le 10 e le 30 mila –, distrussero
migliaia di abitazioni e portarono al collasso le infrastrutture di
tutta l’area. Interi quartieri della capitale La Guaira, specie Los
Corales, furono sepolti da una colata di fango alta tre metri e molte
case furono strappate via dalla furia dell’Oceano. Paesi come Cerro
Grande e Carmen de Uria sparirono completamente.
La tragedia colpì
la famiglia Guaidó, classe media, padre pilota d’aereo, madre
insegnante, 8 figli; e segnò Juan, che l’anno dopo si diplomò e diede
una mano alla famiglia per rimettersi in sesto, prima di andare a
studiare ingegneria industriale all’Università Cattolica Andrés Bello di
Caracas, dove si laureò nel 2007, prima di specializzarsi alla George
Washington University negli Stati Uniti.
La politica e
l’‘anti-chavismo’ lo avevano già catturato: era in piazza con gli
studenti venezuelani che contestavano il referendum costituzionale
promosso dall’allora presidente Chavez. E, nel 2009, con Leopoldo Lopez,
suo mentore, una delle icone dell’opposizione, ora agli arresti
domiciliari, è tra i fondatori del partito Volontà Popolare, che si
batte prima contro Chavez e poi contro Maduro.
Nel 2010 è eletto
deputato del suo Stato e promuove indagini sulla corruzione del regime.
Rieletto al Parlamento, è fra i protagonisti dello scontro fra
l’Assemblea nazionale, di cui il 5 gennaio viene eletto presidente, e il
regime, che ha nel frattempo esautorato il Parlamento e lo ha
soppiantato, con l’avallo della Corte suprema, con un’assemblea
costituente che deve scrivere la nuova Costituzione.
È a questo
punto che Guaidó, nel frattempo sposatosi e divenuto padre d’una bimba,
sale davvero alla ribalta: fino ad allora personaggio non notissimo nel
Paese, acquisisce un ruolo da leader, grazie anche all’investitura di
Lopez, che, bandito dalla politica, lo manda avanti al suo posto. Lui
riesce a ridare unità e forza a un’opposizione divisa, nonostante la
gente sia provata dalla crisi economica e fatichi a credere al
cambiamento. In un comizio a Caracas l’11 gennaio definisce Maduro un
usurpatore; e sempre a Caracas, il 23, s’autoproclama presidente del
Venezuela: “Non siamo vittime, siamo sopravvissuti. E guideremo questo
Paese verso la gloria che si merita”, dichiara. Può contare
sull’appoggio della gente che lo circonda e sull’aiuto, umanitario e non
solo, di Washington. Guaidó ha alcune cicatrici sul collo: sostiene che
siano state provocate da proiettili di gomma sparati dalla polizia
durante una manifestazione anti-governativa a Caracas nel 2017. Ci
sarebbe pure un video del 13 gennaio, la cui autenticità è discussa, che
mostrerebbe agenti che lo fermano per strada. L’ingegnere divenuto
presidente è conscio di correre rischi, perché Maduro, che ha già
esautorato il Parlamento, potrebbe dichiararne le scioglimento,
arrestarlo e scatenare una repressione contro gli oppositori. Finora non
è accaduto. Guaidó dice di cercare il consenso. Ma Maduro non gli tende
la mano.