mercoledì 6 febbraio 2019

Il Fatto 6.2.14
L’anonimo ingegnere che sogna di portare la democrazia
di G.G.


Juan Guaidó era un liceale di neppure 16 anni quando Hugo Chavez divenne per la prima volta presidente del Venezuela: se vivi gli anni della formazione dentro un regime, o ne sei plagiato (e ne divieni un fan), oppure ne cresci viscerale oppositore. Guaidó, cattolico, ingegnere per formazione, è diventato il leader dell’opposizione ed è ora l’autoproclamato presidente del Venezuela, l’‘anti-Maduro’ delle piazze, ma anche l’uomo su cui punta l’America di Trump, che l’ha mandato avanti coprendogli le spalle.
A incidere sul carattere di Guaidó, più dell’ascesa alla presidenza di Chavez fu, pochi mesi dopo, nel dicembre del 1999, la tragedia di Vargas, lo stato costiero a nord di Caracas dov’è nato e cresciuto: le piogge torrenziali causarono alluvioni e fiumi di detriti, che uccisero decine di migliaia di persone – le vittime stimate furono tra le 10 e le 30 mila –, distrussero migliaia di abitazioni e portarono al collasso le infrastrutture di tutta l’area. Interi quartieri della capitale La Guaira, specie Los Corales, furono sepolti da una colata di fango alta tre metri e molte case furono strappate via dalla furia dell’Oceano. Paesi come Cerro Grande e Carmen de Uria sparirono completamente.
La tragedia colpì la famiglia Guaidó, classe media, padre pilota d’aereo, madre insegnante, 8 figli; e segnò Juan, che l’anno dopo si diplomò e diede una mano alla famiglia per rimettersi in sesto, prima di andare a studiare ingegneria industriale all’Università Cattolica Andrés Bello di Caracas, dove si laureò nel 2007, prima di specializzarsi alla George Washington University negli Stati Uniti.
La politica e l’‘anti-chavismo’ lo avevano già catturato: era in piazza con gli studenti venezuelani che contestavano il referendum costituzionale promosso dall’allora presidente Chavez. E, nel 2009, con Leopoldo Lopez, suo mentore, una delle icone dell’opposizione, ora agli arresti domiciliari, è tra i fondatori del partito Volontà Popolare, che si batte prima contro Chavez e poi contro Maduro.
Nel 2010 è eletto deputato del suo Stato e promuove indagini sulla corruzione del regime. Rieletto al Parlamento, è fra i protagonisti dello scontro fra l’Assemblea nazionale, di cui il 5 gennaio viene eletto presidente, e il regime, che ha nel frattempo esautorato il Parlamento e lo ha soppiantato, con l’avallo della Corte suprema, con un’assemblea costituente che deve scrivere la nuova Costituzione.
È a questo punto che Guaidó, nel frattempo sposatosi e divenuto padre d’una bimba, sale davvero alla ribalta: fino ad allora personaggio non notissimo nel Paese, acquisisce un ruolo da leader, grazie anche all’investitura di Lopez, che, bandito dalla politica, lo manda avanti al suo posto. Lui riesce a ridare unità e forza a un’opposizione divisa, nonostante la gente sia provata dalla crisi economica e fatichi a credere al cambiamento. In un comizio a Caracas l’11 gennaio definisce Maduro un usurpatore; e sempre a Caracas, il 23, s’autoproclama presidente del Venezuela: “Non siamo vittime, siamo sopravvissuti. E guideremo questo Paese verso la gloria che si merita”, dichiara. Può contare sull’appoggio della gente che lo circonda e sull’aiuto, umanitario e non solo, di Washington. Guaidó ha alcune cicatrici sul collo: sostiene che siano state provocate da proiettili di gomma sparati dalla polizia durante una manifestazione anti-governativa a Caracas nel 2017. Ci sarebbe pure un video del 13 gennaio, la cui autenticità è discussa, che mostrerebbe agenti che lo fermano per strada. L’ingegnere divenuto presidente è conscio di correre rischi, perché Maduro, che ha già esautorato il Parlamento, potrebbe dichiararne le scioglimento, arrestarlo e scatenare una repressione contro gli oppositori. Finora non è accaduto. Guaidó dice di cercare il consenso. Ma Maduro non gli tende la mano.