mercoledì 6 febbraio 2019

Il Fatto 6.2.19
Dossier Venezuela: la bussola della Costituzione
Ogni giorno un corteo. A Caracas e nelle altre città si susseguono le proteste contro il regime di Maduro: lui conta sui fedelissimi di Chavez
di Salvatore Cannavò


Proviamo a capirci di più di Venezuela e passiamo in rassegna alcune opinioni diffuse alla luce dei dati reali.
Riconoscere Guaidó Juan Guaidó, brillante e giovane leader dell’opposizione venezuelana viene in queste ore proclamato presidente non dal popolo venezuelano, che finora sull’argomento non si è espresso, ma dai governi del mondo occidentale. È stato riconosciuto da Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e da oltre metà dei Paesi Ue, da gran parte dei Paesi latinoamericani, Brasile in testa. Questo basta a farne un presidente legittimo? Questo il giuramento di Guaidó: “Oggi nella mia veste di presidente dell’Assemblea nazionale, invocando gli articoli della Costituzione (…) davanti a Dio onnipotente, giuro di assumere formalmente i poteri dell’esecutivo nazionale”. Guaidó si è proclamato “presidente ad interim” in quanto presidente dell’Assemblea nazionale – dominata dalle forze di opposizione – e dichiarando illegittimo l’attuale presidente Nicolas Maduro.
La legittimità di MaduroMaduro, come da Costituzione, è stato eletto presidente il 20 maggio 2018 (e, sempre da Costituzione, ha preso possesso dell’incarico il 10 gennaio) con il 70% dei voti. Alle urne si era recato il 46 per cento degli aventi diritto, ma la coalizione Mesa de la Unidad Democrática (Mud), di cui fa parte Guaidó, non aveva preso parte alle elezioni che non furono riconosciute né dagli Stati Uniti né dall’Unione europea (da questo punto di vista con una loro coerenza interna). Questo però non fa venire meno la validità del voto a norma costituzionale, nonostante l’esistenza di un forte conflitto politico e istituzionale (scatenato dallo stesso Maduro dopo l’elezione dell’Assemblea nazionale, in cui l’opposizione ottenne oltre il 60% dei voti e contro la quale Maduro si inventò l’Assemblea costituente, una sorta di “soviet” con scarsa efficacia).
L’articolo 233
Resta il fatto che l’articolo 233 della Costituzione venezuelana è molto chiaro rispetto alle cause di rimozione del presidente eletto: “Sono cause di impedimento permanente del presidente della Repubblica: la morte, la rinuncia o la destituzione decretata con sentenza dal Tribunale Supremo di Giustizia; l’incapacità fisica o mentale permanente accertata da una commissione medica designata dal Tribunale Supremo di Giustizia e con l’approvazione dell’Assemblea Nazionale; l’abbandono dell’incarico, dichiarato come tale dall’Assemblea Nazionale, e la revoca popolare del suo mandato”. Solo in tali casi si procede a una nuova elezione e “in attesa della presa di possesso dell’incarico del nuovo presidente, il presidente dell’Assemblea Nazionale svolge funzioni di presidente della Repubblica”. Quindi, a norma di Costituzione, Guaidó non ha alcun titolo. L’abbandono dell’incarico, “dichiarato dall’Assemblea” significa che l’abbandono è confermato dall’Assemblea e non imposto al presidente.
La crisi economica
Maduro, certamente, è un presidente fortemente “delegittimato” ma politicamente. Se si andasse a elezioni sarebbe certamente sfiduciato. Ma non succederebbe lo stesso anche a Macron?
La crisi economica è quella che ha sancito il fallimento della strategia di Maduro. Secondo i dati diffusi dalla Caritas venezuelana, l’iperinflazione entro fine anno rischia di raggiungere la cifra di 1.000.000%. L’87% delle famiglie è povero, il 90% dei trasporti paralizzato, l’acqua è fornita meno di tre giorni a settimana. Se Chávez aveva mobilitato la ricchezza nazionale a favore delle fasce più povere, con Maduro, complice il crollo del prezzo del petrolio, si è verificato il processo inverso con il salario minimo mensile sceso dai 300 dollari del 2014 a 1 dollaro di qualche mese fa.
L‘Italia e l’Europa
Per Matteo Salvini “l’Italia non ha fatto una bella figura”. La prima posizione della Farnesina, però, non è stata “filo-Maduro”: “Chiediamo una vera riconciliazione nazionale e iniziative costruttive che scongiurino sviluppi gravi e negativi, assicurino il rispetto dei diritti fondamentali e consentano un rapido ritorno alla legittimità democratica, garantita da nuove elezioni libere e trasparenti”. Nuove elezioni, quindi, come ha ribadito l’altra sera Palazzo Chigi. Dopo l’intervento del presidente della Repubblica, che ha invitato a scegliere tra “democrazia e violenza”, con una semplificazione eccessiva dello scontro in atto, il ministro Moavero Milanesi ha subito dichiarato la propria partecipazione al “Gruppo di contatto internazionale” che si riunirà domani in Uruguay.
Il “gruppo” riunirà rappresentanti di otto Stati europei (Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito) e di quattro Paesi dell’America latina (Bolivia, Costa Rica, Ecuador e Uruguay) con l’obiettivo “di far aprire uno spazio politico”.
Diverso dal “gruppo di Lima” di cui fanno parte Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Guyana, Honduras, Panama, Paraguay, Perú e che ieri ha accolto tra le sue file anche Juan Guaidó ribadendo la linea di netta contrarietà al dialogo con Nicolas Maduro. Linea dura gradita agli Usa e a gran parte della Ue.