domenica 3 febbraio 2019

Il Fatto 3.2.19
Il reddito e i dilemmi della sinistra
Dopo le critiche di Montanari. Il sussidio voluto dal M5S è troppo o troppo poco universale?
di Stefano Feltri


Ma questo reddito di cittadinanza è troppo o troppo poco? Mentre il Pd si limita a deridere una misura che, con mille difetti, è l’evoluzione di quel Reddito di inclusione introdotto dai governi Letta-Renzi-Gentiloni, c’è un pezzo di sinistra che contesta nel merito il provvedimento appena approvato dall’esecutivo.
Sul Fatto di ieri, Tomaso Montanari, tra l’altro presidente di Libertà e Giustizia, ha mosso una serie di rilievi. Il primo dei quali riguarda la natura quasi filosofica: è un reddito di base? Cioè universale e incondizionato? Sicuramente no, di condizioni ce ne sono fin troppe. Ma nonostante i vincoli ad accettare le offerte di lavoro e gli obblighi di formazione, questo reddito è molto più simile a un reddito di base di quanto i Cinque Stelle sostengono. È vero, come scrive Montanari, che il reddito di base è eterno mentre quello di cittadinanza dura 18 mesi. Ma dopo un solo mese di pausa può essere rinnovato. Potenzialmente all’infinito, se il beneficiario non riesce mai a migliorare la propria condizione.
Ed è vero che, sotto la pressione delle critiche degli avversari politici e pure degli alleati leghisti, i Cinque Stelle hanno abbinato al sussidio una serie di misure paternalistiche (l’obbligo di spendere tutte le somme ricevute in un mese, sanzioni durissime per chi non rispetta gli impegni presi ecc.), misure che sembrano presupporre una naturale malafede e tendenza alla pigrizia dei poveri. Ma sappiamo tutti che gran parte di quegli obblighi non saranno mai rispettati perché la Pubblica amministrazione sarà forse pronta a erogare il reddito a fine aprile, ma impiegherà anni a mandare a regime la complessa organizzazione che coinvolge Centri per l’impiego, assistenti sociali, imprese, “navigator”, Regioni, Anpal, Inps, Poste e tutto il resto. E un reddito minimo condizionato che prevede condizioni di fatto poco applicabili finisce per assomigliare un po’ troppo a un reddito universale, di base.
Anche l’esclusione degli stranieri, denunciata da Montanari, è un argomento debole: secondo la relazione tecnica le famiglie di soli stranieri escluse sono 87.000 su 241.000, immolate per tacitare la Lega.
La destra contesta il reddito di cittadinanza con argomenti di destra: è sbagliato aiutare i poveri, lo Stato non deve fare assistenza, è più efficace destinare quelle risorse alle imprese o usarle per ridurre le tasse e così via. La sinistra si perde in dibattiti terminologici o tendenze al benaltrismo (non basta, non risolve tutti i problemi…) e perde l’occasione di imporre un punto di vista di sinistra al dibattito.
Chi ha gli ultimi come priorità dovrebbe fare una sola domanda: ma il reddito di cittadinanza funziona nel rendere i poveri meno poveri o meno numerosi? L’investimento è grosso, 7 miliardi annui, e il governo chiede al reddito di cittadinanza troppe cose: far ripartire i consumi e il Pil, ridurre il numero dei disoccupati, abolire la povertà, riformare il sistema di ricerca del lavoro… Così tanti obiettivi che sarà difficile, o impossibile, raggiungerli tutti. E, come sempre succede, alla fine saranno i poveri a essere dimenticati. Secondo l’Istat nel 2017 gli individui in povertà assoluta erano 5 milioni. Molti di loro, se faranno domanda per il reddito, saranno affidati ad assistenti sociali e Comuni che già ora sono sotto stress. È su di loro che la sinistra dovrebbe concentrarsi.