Il Fatto 13.9.19
Un hotel nella villa Medicea. Con lo zampino di Lotti
Montelupo Fiorentino. Il piano per affidare la gestione dell’Ambrogiana ad un privato, in barba ai cittadini
di Tomaso Montanari
Da
Cosimo III de’ Medici granduca di Toscana a Luca Lotti, petalo
d’eccellenza di un giglio magico renziano velocemente appassito. È
nell’improbabile tragitto che congiunge questi due potenti toscani
vissuti a tre secoli e mezzo di distanza che si gioca il futuro della
Villa dell’Ambrogiana, spettacolare monumento che sorge in riva
all’Arno, a Montelupo Fiorentino.
Il 5 aprile del 1681 il
segretario di Cosimo III non riusciva a trovare parole per descrivere
l’“avidità” con cui il suo padrone, nel salone dell’Ambrogiana,
assisteva all’apertura di due casse venute da Roma: ne uscirono un
superbo quadro di Bassano, e uno rarissimo di Bernini, appena scomparso.
Anche
oggi la villa potrebbe trasformarsi in un teatro dell’“avidità”: quella
di una speculazione immobiliare e di una ‘valorizzazione’ turistica
desertificante che sono ormai tra le pochissime industrie della Toscana.
L’Ambrogiana
è sempre stata una città proibita per gli abitanti di Montelupo: prima
perché era il paradiso di giardini, collezioni, serragli esotici e
conventi misticheggianti in cui si ritiravano i granduchi, da Ferdinando
I a Cosimo III. Poi perché nel 1886 vi fu installato il secondo
manicomio criminale dell’Italia unita, divenuto negli anni Settanta del
Novecento un Ospedale Psichiatrico Giudiziario (Opg). Una storia
terribile, quest’ultima, culminata nei primi anni Duemila
nell’inarrestabile decadenza della villa stessa e delle condizioni di
chi ci viveva, fino alla serie di tre suicidi di pazienti-detenuti, tra
2000 e 2003.
Nel 2011 arriva finalmente a Montelupo una direttrice
esemplare, Antonella Tuoni, che lotta con i pochissimi fondi
disponibili per recuperare la struttura storica e la qualità della vita
di pazienti e lavoratori. Quando i risultati si cominciano a vedere,
arriva la chiusura degli Opg: esattamente due anni fa, nel febbraio
2017, l’ultimo paziente lascia l’Ambrogiana. Ma gli appetiti erano
iniziati assai prima. Il 15 dicembre del 2014 si svolge a Montelupo una
tavola rotonda in cui l’allora presidente della Cassa Depositi e
Prestiti Franco Bassanini, il governatore Enrico Rossi, il sindaco Paolo
Masetti (Pd) e ovviamente l’allora potentissimo montelupino Luca Lotti
tratteggiano il futuro dell’Ambrogiana.
Il più informato tra i
vari resoconti giornalistici, quello della testata toscana online
Gonews, è assai esplicito: “È necessario spiegare alcuni passaggi di
Bassanini. Se per esempio nella Villa Medicea si volesse realizzare un
albergo di lusso, strategico tra Firenze e Pisa, vicino a Siena e Lucca,
si potrebbe separare la proprietà dell’immobile dalla gestione dello
stesso, affidandola a catene internazionali, favorendone
l’ottimizzazione, la promozione e i ricavi”.
Tre anni dopo, nel
settembre 2017, 1.400 cittadini – tra i quali Lotti – abbracciano la
Villa: una bellissima iniziativa che dovrebbe rappresentare
simbolicamente l’apertura di un processo partecipato in cui decidere
insieme il futuro dell’Ambrogiana.
Invece, è solo fumisteria:
sulla base di un laboratorio di partecipazione promosso dal progetto
culturale “Cities-Cafés”, l’opposizione “Città e Lavoro” aveva
presentato quasi un anno prima in consiglio comunale una mozione con cui
si chiedeva la garanzia della proprietà pubblica e della gestione
dell’immobile e dell’intera area, e la partecipazione della cittadinanza
alle scelte sul futuro della villa. Ma la mozione era stata respinta
con il voto compatto della maggioranza Pd. “È un po’ da sognatore –
aveva risposto il sindaco Masetti – dire che (l’Ambrogiana, ndr) è dei
cittadini”. Il boccino, sosteneva il sindaco, è a Roma: una Roma allora
renzianissima.
Puntualmente l’Agenzia del Demanio, cui il
ministero della Giustizia ha “restituito” l’Ambrogiana, mette dunque a
gara lo studio di “fattibilità” sulla “valorizzazione” della Villa, che
viene affidato a Coop Culture e allo studio di architettura Palterer
& Medardi. Tra gli scenari delineati dallo studio, l’Agenzia del
Demanio sceglie quello che trasformerebbe la villa in una “Cittadella
del sapere”. Uso pubblico e virtuoso al cento per cento, dunque? Non
esattamente. Lo studio spiega anche come sottrarre all’uso pubblico una
parte importante del complesso “attraverso la
vendita/locazione/concessione della relativa area ad un privato”. Non un
dettaglio, ma una falla capace di affondare la nave dell’uso pubblico,
come ammette lo stesso studio di fattibilità:
“L’alienazione/concessione/locazione ‘indebolisce’ i Modelli di Gestione
delle altre aree, soprattutto quelle a maggior vocazione culturale
(giardini piùmuseo) e potrebbe minare la logica complessiva del ‘polo
della conoscenza’”. Un’ammissione che forse spiega perché il consigliere
di opposizione Francesco Polverini ha impiegato mesi per avere accesso
allo studio: alla faccia della partecipazione e della trasparenza.
Nel
1988 Giovanni Michelucci aveva proposto un primo, visionario progetto
di recupero pubblico dell’Ambrogiana. Nel 2014 Antonella Tuoni ha
prospettato un’idea diversa, e affascinante: e cioè che una parte della
Villa continuasse ad ospitare un carcere, rendendo così chiaro che la
storia non si rimuove e i detenuti non si nascondono come polvere sotto
il tappeto. E anche che le prigioni non sono luoghi dove si ‘marcisce’,
ma istituzioni che possono riscattare anche grazie alla bellezza.
Oggi
la domanda è una sola: i cittadini di Montelupo (anche quelli che non
si chiamano Lotti) saranno chiamati a decidere davvero del futuro del
loro bene più prezioso?