Il Fatto 10.2.19
Il 170esimo anniversario dell’“immortale fantasma” della Repubblica romana
di Massimo Novelli
Il
9 febbraio del 1849, “a un’ora del mattino, si proclamavano il
decadimento del potere temporale del Papa, e, conseguenza logica, la
Repubblica. Da chi? Dall’Assemblea Costituente degli Stati romani.
D’onde esciva la Costituente? Dal voto universale”. Così Giuseppe
Mazzini, nel settembre del 1849, scriveva ai ministri di Francia,
ricordando la nascita della Repubblica Romana che, agli inizi di luglio,
era stata annientata dalle truppe mandate da Luigi Napoleone Bonaparte,
futuro Napoleone III. Il 3 di luglio, dalla loggia del Campidoglio, era
stata promulgata la Costituzione, la più avanzata d’Europa, che, come
sarebbe stato scritto, dette “al popolo leggi giuste ispirate alla più
pura democrazia”.
Durò poco l’avventura della Repubblica, con cui
l’Italia, osservò Leone Ginzburg in pieno fascismo, “cominciò a scoprire
la propria vocazione unitaria attraverso i giovani accorsi a Roma da
ogni parte d’Italia a sacrificarsi con tranquilla consapevole serenità
per la patria comune”. Dopo la fuga a Gaeta di Pio IX, spaventato dal
programma liberale e nazionale propostogli, la giunta provvisoria di
governo convocò l’assemblea costituente. Il 9 febbraio venne proclamata
la repubblica e nominato un comitato esecutivo costituto da Carlo
Armellini, Mattia Montecchi e Aurelio Saliceti, che a marzo cambiò con
l’ingresso di Mazzini e di Aurelio Saffi. Alla fine d’aprile, a
Civitavecchia, sbarcò il contingente francese inviato da Luigi
Napoleone, presidente della Repubblica di Francia. L’assemblea della
capitale decise di respingere i francesi e il corpo di spedizione
borbonico, inseguito da Garibaldi. S’iniziò la gloriosa e drammatica
difesa di Roma, che sarebbe crollata il 4 luglio. “La Repubblica romana è
caduta”, scrisse Mazzini, “ma il suo diritto vive, immortale fantasma
che sorgerà sovente a turbarvi i sogni. E sarà nostra cura evocarlo”.