domenica 3 febbraio 2019

Corriere La Lettura 3.2.19
Teorie Il caso coreano e oltre
L’ibrido (im)possibile fra Confucio e democrazia
di Maurizio Scarpari


Il tema della democrazia in Asia proposto da Parag Khanna è oggetto di dibattito in Oriente e in Occidente da tempo. Ci si chiede in quale misura sia possibile applicare i principi delle democrazie liberali che postulano, almeno idealmente, un’eguaglianza politica rispettosa dei diritti e degli interessi dei singoli cittadini, della pluralità di valori e della libertà di espressione e associazione, a realtà che tradizionalmente tendono a privilegiare la dimensione collettiva rispetto a quella individuale e che, in genere, sono governate da sistemi illiberali o autoritari.
I Paesi dell’Asia orientale nei quali i valori etici confuciani sono ancora oggi radicati rappresentano un caso a sé stante. Il confucianesimo è stato il fondamento della cultura e dello stile di vita dei cinesi per duemila anni e ha influenzato il pensiero e le abitudini dei popoli di vaste aree estremorientali. Nella Cina repubblicana di inizio Novecento e sotto Mao Zedong il confucianesimo fu messo al bando, accusato di essere la principale causa dell’arretratezza e dell’immobilismo dell’apparato burocratico-amministrativo imperiale e della società, rappresentando un retaggio feudale che avrebbe impedito al Paese di modernizzarsi. Corea del Sud, Giappone, Taiwan, Singapore e altri Paesi del Sudest asiatico sono invece riusciti a conciliare gli elementi fondamentali della tradizione confuciana con la modernizzazione, ottenendo risultati in taluni casi sorprendenti. In anni recenti la Cina è tornata sui suoi passi, promuovendo il recupero delle virtù confuciane, opponendole ai cosiddetti «valori occidentali» ritenuti inidonei alla società cinese e dannosi per l’ordine sociale. È avvenuta una riappropriazione del proprio retaggio culturale, ritenuto funzionale al progresso armonioso della società e anche a un suo più efficace controllo. Ha così ripreso vigore il dibattito sul rapporto dialettico tra valori democratici e principi confuciani, tra diritti individuali e doveri sociali, tra forme di governo liberali e illiberali.
In un’epoca in cui gli assetti geopolitici dell’intero pianeta sono rimessi in discussione e il concetto stesso di democrazia, nelle sue varie declinazioni, sembra aver perso il significato originario anche in Occidente, è utile volgere lo sguardo a modelli di governance diversi. Il volume di Sungmoon Kim, Democrazia confuciana nell’Asia Orientale (ObarraO), va in questa direzione, offrendo al lettore l’opportunità di esaminare teorie di governo poco note in Italia, estrapolate dal contesto politico delle società dell’Asia Orientale.
Partendo dall’esperienza della Corea del Sud, il Paese che forse più di ogni altro è imbevuto delle dottrine morali, filosofiche e religiose di matrice confuciana, Kim propone un modello politico tendente a valorizzare gli elementi democratici insiti nel contesto sociale, culturale ed etico confuciano, affrontando in modo critico le posizioni comunitarista e meritocratica di altre proposte esistenti. La democrazia avrebbe grande efficacia politica in Asia orientale se si fondasse sull’umanesimo e sugli «usi e costumi» confuciani che gli abitanti di diversi Paesi della regione hanno profondamente interiorizzato nel corso delle generazioni, dando vita a una forma di democrazia confuciana civica pluralista e multiculturale. Essa sarebbe il risultato della fusione tra principi liberal-democratici e confuciani, in grado di realizzare una società politicamente avanzata e promuovere un rinnovamento culturale stimolato dalle due diverse forme di pensiero. Questo modello è in parte già operativo in alcune realtà dell’Asia orientale ma per ora pare difficilmente applicabile alla Cina di Xi Jinping.