Corriere 9.2.19
Il regista
Ozon scuote la Berlinale con il caso dei preti pedofili
«Grazie a Dio» del regista francese, tratto da una storia vera
di Paolo Mereghetti
Berlino
Sorpresa Ozon. Dopo gli ultimi film in cui si era perso nei labirinti
mentali dei suoi protagonisti, il regista francese cambia registro:
Grâce à Dieu (Grazie a Dio, nel senso di «per fortuna»: chi lo vedrà,
capirà), in concorso per la Francia alla Berlinale, è un film lineare
nella sua classicità stilistica e preciso nel suo obiettivo.
Ricostruisce la denuncia che Alexandre Guérin (Melvil Poupaud) si era
deciso a fare contro padre Preynat, che aveva approfittato di lui
durante la fanciullezza, a sua volta all’origine nel 2015
dell’associazione La Parole Libérée (La parola liberata) che a Lione ha
riunito chi aveva subito le stesse avances dal medesimo sacerdote,
quando tra il 1970 e il ’91 aveva guidato un gruppo scout.
L’originalità
sta nello scegliere il punto di vista di chi quelle violenze ha subito e
dopo tanti anni deve fare i conti con le proprie paure o angosce o
vergogne. Ma non privilegia un caso sugli altri: dopo che per 45 minuti
abbiamo seguito i tentativi di Alexander di ottenere dal vescovo
Barbarin (François Marthouret) una qualche condanna ecclesiastica, il
film si sposta su François (Denis Ménochet) che al caso vuole dare il
massimo rilievo mediatico (anche con trovate vicine alla goliardia) e
infine su Emmanuel (Swann Arlaud) che di quella esperienza porta ancora i
segni. Sono tre casi differenti tra i tanti, tre modi di porsi rispetto
alla Chiesa e alla religione, tre persone provenienti da diversi
ambienti sociali che reagiscono di fronte al medesimo dramma.
François
Ozon, che ha scritto anche la sceneggiatura, va dritto al punto, senza
cedere alla retorica o al melodramma. Il suo non è un film di denuncia,
non ha rivelazioni o illazioni da fare: padre Preynat è ancora in attesa
di giudizio mentre il cardinale e i suoi collaboratori aspettano per il
prossimo 7 marzo la sentenza sull’accusa di aver occultato ciò che
sapevano. Per questo Grâce à Dieu è piuttosto un film di memoria, per
ricordare ciò che si tende a rimuovere. Come hanno fatto i veri
protagonisti.
Più emotivo (e più discutibile) il film d’esordio
della regista tedesca Nora Fingscheidt, Systemsprenger (Chi rompe il
sistema), odissea di una bambina di nove anni (Helena Zengel,
bravissima) talmente ribelle e arrabbiata che nessuno riesce ad
aiutarla: né la madre che l’ha abbandonata ai servizi sociali né le
istituzioni che non sanno controllare i suoi eccessi e le sue fughe.
Un
film che interroga la società e le sue incapacità ma che fa della
protagonista una bambina così asociale da spingere il film in un vicolo
cieco. Da cui non sa più come uscire.