Corriere 3.2.19
Gli obiettivi della scienza
Una Sanità orgogliosa che serva all’uomo
È importante un’idea del sapere medico che riconosca i suoi limiti
di Gianluca Vago
Mai
come ora, il mondo della medicina, della ricerca, della cura, affronta
sollecitazioni, cambiamenti, progressi, rischi, la cui direzione sembra
difficilmente prevedibile. Non solo per chi alla medicina affida il bene
più prezioso, la salute, ma per quanti quel bene cercano di tutelare.
Tutto
sta cambiando, e con una velocità impensabile. Cambia il modo con cui
diagnostichiamo le malattie, cambia persino il modo con cui le
classifichiamo. Ora sappiamo che parlare di tumore come una sola
malattia non ha più senso. Sappiamo che ciascun tumore ha un profilo
particolare di alterazioni del proprio profilo genetico, e abbiamo la
speranza di poter trattare ciascun particolare tumore con farmaci
specifici per quelle alterazioni. Che questo, probabilmente, varrà anche
per molte altre patologie. Che ogni malattia è unica anche perché ogni
malato è unico.
Sappiamo che i progressi stessi della medicina
hanno modificato le aspettative di vita, aumentandole, e generando un
bisogno mai sperimentato di aiuto per chi convive per anni con patologie
croniche. Sappiamo che prevenire è possibile, e assistiamo allo stesso
tempo alla difficoltà di alimentare programmi efficaci di prevenzione.
Sappiamo
che quanto sta avvenendo grazie ai progressi nel campo
dell’intelligenza artificiale modificherà radicalmente ogni aspetto
della cura, e persino della relazione di cura.
Sappiamo che il
sistema dei social network sta cambiando, in una direzione
imprevedibile, il modo con cui si generano e si trasmettono i saperi,
veri e falsi.
Sappiamo, anche e prima, che il mercato generato
dalla medicina è portatore di interessi colossali, e come ogni mercato,
spinge al consumo, anche quando non servirebbe consumare di più, e anzi
consumare di più è dannoso per la nostra salute.
Sappiamo che
faremo sempre più fatica a sostenere sistemi che garantiscono assistenza
e cura per chi non ha risorse per farlo da sé; sistemi universalistici,
nei quali l’interesse pubblico all’aiuto sia difeso come un valore
irrinunciabile.
Come sempre è accaduto, le reazioni possibili a
queste enormi, continue, complesse sollecitazioni comprendono gli
estremi di una esaltazione acritica della scienza e della tecnologia, o
di un pessimismo immotivato e fatalista. Della fiducia cieca nelle
dinamiche di mercato, o del rimpianto per una semplicità che non è mai
esistita, e non esisterà mai. Che il progresso porti rovine, conflitti,
regressioni; o che invece ogni novità sia, perché novità, portatrice di
valori positivi.
Credo invece, sia importante, proprio ora,
sostenere, con ancora più forza, un’idea della medicina, del sapere e
dell’agire medico, che rimandi, con mite fermezza, ai fondamenti primi
della cura. Una medicina che riconosca i suoi limiti.
Che non
prometta immortalità (non ancora, almeno). Che non pretenda di portare
responsabilità non sue — l’inquinamento atmosferico provoca malattie, ma
non tocca alla medicina la responsabilità delle politiche ambientali.
Che non renda malati i sani, per poterli curare. Che coltivi il dubbio,
perché è sul dubbio che riposa la sua credibilità. Che provi, con
pazienza, ma con fermezza, a dire cosa sia l’incertezza. Che verifichi,
sempre, quello che fa, gli strumenti che usa, i farmaci che somministra,
gli interventi che sceglie. Che usi al meglio, o anche solo bene, le
risorse di cui può disporre. Che non faccia mercimonio della salute
altrui. Che rispetti la volontà di ognuno, di essere curato e come, e
insieme difenda la salute delle comunità. Che viva la sofferenza, e il
sollievo e la gioia della guarigione, e aiuti ad accogliere la fine.
C’è
solo un modo, per affrontare un futuro mai così vicino, e mai così
imprevedibile. Difendere strenuamente, una medicina che serva veramente
all’uomo. Una medicina mite; e orgogliosa di sé.