sabato 2 febbraio 2019

Corriere 2.2.19
intervista a Hu Xijin, direttore del Global Times, il quotidiano del partito comunista
«Dazi, tra Cina e Usa ci sarà l’accordo
La globalizzazione non si fermerà»
di Guido Santevecchi


PECHINO «Sono ottimista, dopo dieci mesi di scontri abbiamo avuto un negoziato costruttivo, Cina e Stati Uniti sono più vicini e credo che ci sarà un accordo commerciale». Hu Xijin è il direttore del “Global Times”, quotidiano del partito comunista cinese. Vende un milione di copie e ne diffonde altre 100 mila nella versione in inglese, il suo sito ha tra i 20 e i 30 milioni di utenti al giorno. Hu è stato corrispondente di guerra nei Balcani e in Iraq, ha 58 anni e non usa un linguaggio burocratico, non è un conformista.
Direttore Hu Xijin, comunque vada a finire la sfida economica attuale, si discute sempre del rischio di una nuova guerra fredda Washington-Pechino.
«No, la Cina non la vuole e nemmeno il mondo del business americano, forse è un’illusione di qualche élite politica a Washington. Ma dove troverebbero gli alleati? La Cina conta economicamente di più degli Stati Uniti per Paesi come Giappone, Sud Corea, Australia. Per questo dopo dieci mesi Trump vuole un accordo. Gli Usa sono riusciti a contenere e sconfiggere l’Urss perché l’espansione sovietica era solo geopolitica mentre quella cinese è fondata sulla crescita economica e sulle richieste di benessere della popolazione».
Fast food
Anche McDonald’s ha cambiato la vita dei cinesi insegnandoci le catene di distribuzione
In Occidente la globalizzazione è indicata come responsabile dell’aumento della disuguaglianza sociale, come colpevole della fuga di migliaia di industrie, che hanno spostato soprattutto in Cina le loro produzioni
«C’è un fraintendimento, la globalizzazione negli anni ha promosso grandi progressi per tutti, anche da voi. Ora siamo di fronte solo a un episodio nel processo, trovo che non sia corretto incolpare per situazioni di ingiustizia sociale in Occidente la globalizzazione e la Cina. Sa, anche da noi, qualcuno a Pechino e Shanghai si è detto scontento per la globalizzazione interna, crede di aver perso il lavoro per la concorrenza di province cinesi arretrate rispetto alle grandi città, ma in Cina si cerca di migliorare la propria competitività per risolvere i problemi. In passato l’Occidente ha apprezzato la globalizzazione perché la guidava, ha potuto utilizzare pienamente i fattori della produzione e del mercato globale. Forse questo ha creato anche una certa inerzia da voi. Adesso la situazione è cambiata perché altri Paesi sono emersi e l’Europa non è abituata a questa nuova situazione di mercato, ma piaccia o non piaccia la tendenza alla globalizzazione non si può fermare, chi non la vuole si isola».
Come descriverebbe la globalizzazione?
Gli Usa hanno sconfitto l’Urss perché l’espansione sovietica era solo geopolitica, mentre quella cinese è fondata sul Pil
«La globalizzazione è una tendenza promossa dai progressi tecnologici, porta avanti la ridistribuzione dei fattori della produzione e del mercato, è un processo in continua evoluzione e non si limita ai consumi, ma comprende anche i campi della politica, dell’informazione e dei valori»
È un fatto che la Cina si è avvantaggiata dalla globalizzazione. Che cosa succederà se ora vincerà la de-globalizzazione? Finirà anche il miracolo cinese?
«La de-globalizzazione non si realizzerà mai, è solo un’ipotesi, l’illusione di alcuni ignoranti invasati. Tutti i Paesi vogliono vendere i loro prodotti in tutto il mondo. La Cina è la seconda economia della terra, ma la sua popolazione è molto più numerosa di quella europea e con il suo mercato ha contribuito alla crescita di tutti. Ammettiamo che la Cina si separi dal resto del mondo, con 1 miliardo e 400 milioni di persone avrebbe sempre un grande potenziale. Il mercato interno cinese conta più delle sue esportazioni ormai. Le chiedo: che cosa succederebbe in Italia se finisse la globalizzazione? Che mercato avrebbe? Io sono stato in Italia, ho visto tanti turisti nostri, ho visto che le vostre aziende vogliono vendere in Cina: abbiamo bisogno l’uno dell’altro».
In Italia ho visto tanti turisti nostri, ho visto che le vostre aziende vogliono vendere in Cina: abbiamo bisogno l’uno dell’altro
Lei ha scritto che gli Stati Uniti hanno giocato un ruolo attivo nel percorso cinese di riforme e aperture, negli scorsi 40 anni. Giudizio sorprendente per un nazionalista come lei...
«Sono patriottico, non un nazionalista, sono contro gli scontri strategici e le guerre. Osservo che proprio all’inizio i rapporti molto buoni di allora con gli Stati Uniti, il loro sostegno, hanno dato fiducia alla Cina e hanno spinto per la decisione di una grande apertura, hanno rappresentato un punto di riferimento per le nostre riforme economiche. Durante questi anni abbiamo imparato molto nelle tecnologie, appreso molte idee. Anche McDonald’s ha cambiato la vita della popolazione cinese, ci ha insegnato il sistema delle catene di distribuzione».
Siete in debito?
Il direttore sorride: «Non abbiamo rubato la modernizzazione dagli americani: il primo satellite è stato lanciato dall’Unione Sovietica, il primo uomo nello spazio è stato un sovietico. Sarebbe assurdo dire che gli Stati Uniti avrebbero dovuto pagare i diritti d’autore all’Urss».