Corriere 2.2.19
Stilo 2.0
Da Torino all’AsiaI 100 anni delle penne Aurora e le sfide dell’era digitale
«Nel mondo è tornato il gusto di scrivere i biglietti a mano»
Il futuro. Per produrre un pezzo serve fino a un mese
E ora gli artigiani. useranno anche i robot
di Riccardo Bruno
Nell’antica
fabbrica dell’Aurora si sta facendo spazio per la prima isola
interamente robotizzata che realizzerà penne stilografiche. Lo storico
marchio che ha fatto scrivere milioni di italiani, un secolo di vita il
prossimo giugno, pensa al futuro. «Le tecnologie ci aiutano, ma sono
sempre al servizio della testa e della mani dei nostri artigiani» spiega
con orgoglio Cesare Verona, presidente e amministratore delegato
dell’azienda torinese.
Nell’era dei computer e dei touch screen è
avvenuto un piccolo miracolo alla periferia nord di Torino, all’ombra
dell’abbazia medievale di Stura. Negli ultimi cinque anni l’Aurora ha
raddoppiato il fatturato, si è aperta ai mercati esteri, arabi e
giapponesi impazziscono per questi gioielli che trasformano la scrittura
in opera d’arte. Merito di una cinquantina di operai e di un
imprenditore con i piedi nella tradizione e la testa al domani. Cesare
Verona, 56 anni, porta lo stesso nome del bisnonno, il primo a importare
in Italia le macchine da scrivere Remington. «Il segno della scrittura è
nel nostro Dna — spiega —. È giusto nutrirsi del passato, ma bisogna
avere la capacità di rinnovarsi continuamente». Ha preso in mano
l’azienda di famiglia otto anni fa, sfidando lo scetticismo di chi
credeva che vendere penne nell’era digitale fosse un’impresa disperata.
«Di sicuro non potevamo più pensare di vendere milioni di pezzi a basso
costo. Bisognava puntare su prodotti di qualità, di media e alta gamma. E
guardare fuori dai nostri confini».
Dieci anni fa la quota del
mercato estero era ferma al 3%, adesso supera il 70. «Bisogna conoscere i
clienti, adattarsi alle loro preferenze. Gli asiatici per esempio
chiedono un pennino finissimo». Aurora vende penne per gli amanti della
scrittura o per collezionisti disposti a spendere anche 300 mila euro
per un capolavoro di design tempestato di diamanti. «La cosa
straordinaria è che l’età dei clienti si sta abbassando — osserva Verona
—. Sempre più vengono richieste le stilografiche, si sta riscoprendo il
piacere di scrivere un bigliettino a mano, trovare un momento da
dedicare ai propri pensieri».
Ogni componente delle Aurora, dal
pennino, al cappuccio, al caratteristico fermaglio a goccia, è pensato e
realizzato nel laboratori torinesi. Il presidente Verona con passione
rivendica il «made in Italy». Ha voluto una bandiera, illuminata anche
di notte, all’ingresso della fabbrica, e un tricolore è stampato sulle
casacche dei dipendenti, accanto al loro nome e al simbolo storico
dell’azienda.
«Siamo tra i pochi ad avere il privilegio di poter
raccontare una storia, e abbiamo il dovere di farlo» aggiunge. Ha
cercato di trasformare la sede dell’azienda, che era una vecchia
filanda, in un polo di attrazione culturale.
Ha riempito di opere
di arte contemporanea il cortile e le stanze di lavoro, ce n’è una
persino dietro il distributore automatico del caffè. Ha spostato tutta
la produzione al pian terreno, e nel piano superiore rimasto libero due
anni fa è stato aperto un museo interattivo. Non è per nulla
autocelebrativo (su tredici modelli che hanno fatto la storia solo due
sono Aurora, tra cui la Hastil disegnata da Marco Zanuso ed esposta al
Moma di New York), ma racconta l’evoluzione dei segni, il desiderio
dell’uomo di lasciare una traccia di sé, dalle pitture rupestri ai
tratti d’inchiostro.
Due volte al giorno, alle 11 e alle 16, è
anche possibile scendere tra gli operai, vedere come nasce ogni singola
penna, seguendo i meticolosi passaggi manuali che possono durare anche
più di un mese. «Abbiamo voluto aprire la nostra casa — conclude Verona
—. Ci riempie di soddisfazione vedere che la gente vuole bene al nostro
marchio».
I tempi in cui gli studenti curavano la calligrafia con
un’«Auretta», o ancor prima con una «Topolino», non torneranno più. Ma
le penne «a serbatoio», come si chiamavano un tempo, hanno ancora nuove
pagine da scrivere.