mercoledì 9 gennaio 2019

Repubblica 9.1.19
Alle origini del populismo
Individuo contro cittadino
di Mark Lilla


Molti giovani d’oggi, e non solo negli Stati Uniti, guardano alla democrazia sotto la luce delle identità.
Non si considerano cittadini democratici, ma individui, ciascuno con una propria identità che li rende diversi dagli altri. Oggi molti giovani negli Stati Uniti circoscrivono il proprio impegno politico ai problemi sociali che ritengono facciano riferimento alla loro identità.
Per una persona come me, cresciuta durante le battaglie ideologiche della Guerra fredda, è sconcertante vedere tanti giovani così concentrati sulle questioni personali di genere e poco attenti a questioni di giustizia economica o di politica estera. Le grandi ideologie e le narrative che tentavano di spiegare tutto avevano dei problemi, ma almeno facevano capire come le cose fossero legate tra loro.
Il risultato di tutto questo è che negli Stati Uniti la sinistra radicale si oppone al neoliberalismo economico e promuove ciò che si potrebbe definire un neoliberalismo sociale. Costruire la solidarietà non è il suo obiettivo primario. Rafforza soltanto l’individualismo radicale dei nostri tempi.
Gli effetti della globalizzazione economica hanno destabilizzato i governi in ogni parte del mondo e si è allargato il divario tra un’élite ricca e istruita e una sottoclasse crescente e insoddisfatta, priva di speranza. L’immigrazione incontrollata l’ha solo resa più rancorosa. Il neoliberalismo sociale ha inoltre prodotto un effetto psicologico ed ha indebolito i vincoli sociali. I giovani rimandano il matrimonio oppure scelgono di vivere da soli.
Continuano ad aumentare i casi di depressione e suicidio. Questo non accade perché mancano denaro e opportunità ma perché stiamo diventando ciò che Michel Houellebecq ha chiamato nei suoi spaventosi romanzi le "particelle elementari".
Le società democratiche si stanno sfaldando. Governi incapaci di controllare gli effetti dell’economia globale o l’immigrazione illegale appaiono deboli e inadeguati. Questo porta gli elettori a cambiare in continuazione leader e partiti che promettono di riuscire a controllare queste forze, ma non ne sono capaci.
Come dimostrano le elezioni negli Stati Uniti, il mio Paese è diviso tra due tribù che provano una profonda diffidenza l’una verso l’altra. Da un lato esiste un’élite cosmopolita, liberale e istruita che mette l’enfasi sulle questioni di identità personale, disprezza la religione e vuole accogliere gli immigrati, legali o illegali che siano, in una società più multiculturale. Questa élite domina le nostre istituzioni culturali: le università, i media e Hollywood. La tribù di destra, invece, unisce i meno istruiti, più religiosi, bianchi e maschi.
Provando disprezzo per le élite culturali, questa tribù afferma la propria politica dell’identità per competere con gli altri gruppi. I populisti hanno saputo convincerli che erano loro il vero "popolo" americano, non le élite, e che il loro Paese gli era stato rubato. Questa destra americana attualmente controlla ogni livello di governo. E alla guida c’è un indemoniato e abile demagogo che accumula potere mettendo gli americani gli uni contro gli altri.
Cosa si può fare? Nel lungo termine dovremo riscoprire le virtù della cittadinanza. Le nostre società sono molto diverse oggi.
Conduciamo una vita privata più individualistica rispetto al passato. Tuttavia i nostri destini sono uniti: esiste un bene comune che deve essere tutelato nell’interesse di tutti. E se vogliamo chiedere alle persone di tutelarlo, dobbiamo fare affidamento non su un desiderio, ma piuttosto su un dato sociale: qualunque siano le nostre differenze o la nostra tribù, ciò che condividiamo è la cittadinanza.
Siamo tutti nati o naturalizzati cittadini e meritiamo di essere trattati equamente, tenendo a mente che essere cittadino non significa solo avere dei diritti, ma anche dei doveri, l’uno nei confronti dell’altro e nei confronti delle nostre repubbliche.
Mantenere un senso civico è molto difficile. È per questo che, fin dal mondo antico, le democrazie hanno sofferto di entropia: l’unica cosa che davvero le mantiene unite la cittadinanza. Se quel vincolo ha basi imperfette o si è indebolito la struttura si sfalda.
Una situazione simile è visibile nell’Europa dell’est. In seguito alla caduta del muro nel 1989, furono create istituzioni democratiche, ma quello che i fondatori di quelle istituzioni non potevano creare era un senso di cittadinanza che richiede l’avvicendarsi di diverse generazioni.
Oggi vediamo invece la Polonia e l’Ungheria che abbracciano e celebrano quella che il presidente ungherese Viktor Orbán definisce "democrazia illiberale". In quei Paesi e in Italia, Austria e Francia ci sono forze politiche che stanno stabilendo ciò che sembra essere un nuovo Fronte Popolare, questa volta sotto forma di destra radicale.
È difficile non avere l’impressione che questo sia un film già visto.
Le democrazie senza democratici non durano. Si decompongono, trasformandosi in oligarchie, teocrazie, nazionalismi etnici, sistemi autoritari oppure in un miscuglio di tutti questi elementi.
Non esagero quando dico che i segnali di ognuna di queste patologie sono visibili nell’attuale vita democratica americana. E mi rattrista pensare che l’Italia potrebbe ben presto soffrire della nostra stessa malattia.