mercoledì 9 gennaio 2019

Repubblica 9.1.19
Se l’inconscio decide di non essere più inconscio
Le sfide della psicoanalisi nel saggio "Dislocazioni" curato da Lorena Preta
di Moreno Montanari


Avreste mai detto che il secondo paese con il più alto numero di operazioni chirurgiche per il cambiamento di sesso, dopo la Thailandia, fosse l’Iran? Che fu addirittura l’Ayatollah Khomeini a decretare che «la riattribuzione di genere, se prescritta da un medico affidabile, non va contro la Sharia» e che tali operazioni, in un paese nel quale la condizione della donna non sembra brillare per particolare libertà, sono più gli uomini che chiedono di cambiare la loro sessualità biologica che le donne?
Dovremmo dedurre che stereotipi e pregiudizi sono duri a morire e che l’Iran ultraconservatore rivela invece un lato iperliberale su questioni così delicate, con tanto di sostegno psicologico ed economico a chi vuole cambiare sesso? Solo in apparenza, perché come ha mostrato la psicoanalista iraniana Gohar Homayounpour, molte di queste persone non si opererebbero se nel loro Stato l’omosessualità non fosse considerato un reato punibile con la pena di morte, per cui il loro transgenderismo in molti casi appare come l’unica soluzione per continuare a vivere in società che li costringe ad omologarsi ai canoni della presunta sessualità "naturale". Ma il fatto è che una sessualità naturale non esiste e che per quanto siamo indotti a pensarla come una questione privata e istintuale, essa è in realtà intrinsecamente culturale e politica, come ha spiegato bene Michel Foucault. Basta considerare il diverso modo in cui ciascuno di noi la vive nel corso degli anni, nelle diverse relazioni a cui ha dato vita, per osservare come la propria personale concezione delle identità sessuali altre cambi. Lo spiega bene Vittorio Lingiardi: «La nostra sessualità e i nostri generi sono costruzioni evolutive e relazionali: contemporaneamente biologiche e sociali, creative e difensive; sono il risultato di predisposizioni genetiche e ormonali ma anche di aspettative familiari e pressioni sociali». Al punto che «il genere è qualche cosa che facciamo piuttosto che qualcosa che siamo» esattamente come la nostra identità che, come mostrava già nel XIX secolo il filosofo Kierkegaard, non è alcunché di dato, fisso, sostanziale, ma costituisce l’esito, sempre in divenire, del modo in cui ci rapportiamo a noi stessi. Il tema della transessualità diviene così il paradigma di un atteggiamento che crede di poter ridurre lo psichico al corporeo trasferendo su di esso questioni che andrebbero invece elaborate psichicamente e offre lo spunto al titolo di questo prezioso libro collettaneo a cura di Lorena Preta: Dislocazioni. Nuove forme del disagio psichico e sociale (Mimesis, per la collana Geografie della psicoanalisi). Analizzando diversi scenari di misconoscimento del corpo, avvertito sempre più come estraneo e oggetto di una frammentazione disgregante che sembra legata alla pulsione di morte, gli autori provano a tracciare una nuova cartografia del soggetto indagandone il ruolo in un mondo dominato da nuove forme di comunicazione, spazi virtuali, biotecnologie che sovvertono la percezione usuale del nostro corpo, ridefiniscono la sessualità e danno forma a inedite organizzazioni della famiglia. In questo nuovo scenario in cui gli individui, osserva Preta, «sembrano caratterizzati da una tendenza ad agire l’inconscio, come se questo fosse rivoltato fuori e si fosse persa la necessaria distinzione tra mondo interno e realtà esterna», la funzione della psicoanalisi sembra essere quella di insegnare a smontare l’erronea idea di un’identità monolitica, adialettica e definita per sottrazione da un’alterità che invece ci abita e ci arricchisce. Per apprendere che divenire ciò che si è significa in fondo disporsi a essere ciò che possiamo diventare.
Dislocazioni.
Nuove forme del disagio psichico e sociale a cura di Lorena Preta ( Mimesis, pagg. 108, 15 euro)