Corriere 9.1.19
Istituzioni a confronto
Democrazia e Disobbedienza, una sfida su cui riflettere
di Donatella Di Cesare
La
disobbedienza civile non vale solo nei regimi dispotici. È, anzi, il
sale della democrazia. A provocarla è, come ha scritto Hannah Arendt nel
1970, «l’incapacità del governo di funzionare adeguatamente». I
cittadini sono assaliti dal dubbio sulla legittimità di una legge. Non
sanno, però, come esprimerlo, perché l’opposizione è affievolita o tace
del tutto. Il timore è di restare inascoltati, mentre il governo insiste
in quelle iniziative «la cui legalità e costituzionalità suscitano
molti interrogativi».
Parlare di «ribellismo» è pretestuoso.
Sarebbe comodo «ridurre le minoranze dissidenti a un’accozzaglia di
ribelli e traditori». Ma chi disobbedisce si muove nel quadro
dell’autorità costituita. Non viola la legge — la sfida. E la sfida in
nome di una legge più alta, di una Costituzione tradita, di una
giustizia mancata. Articola il disaccordo pubblicamente e opera per il
bene comune, assumendosi la propria responsabilità. Certo che la legge
non può giustificare la violazione della legge! Perciò i disobbedienti
si muovono ai margini, dove il diritto è chiamato in causa dalla
giustizia.
Chi avrebbe mai detto che la disobbedienza civile
sarebbe salita alla ribalta della cronaca italiana? È avvenuto per
iniziativa dei primi cittadini, Orlando a Palermo, de Magistris a
Napoli, e altri sindaci che si propongono di sospendere il decreto
Salvini. Il che è comprensibile già solo al buon senso: smantellando la
rete di accoglienza degli Sprar, e gettando sulla strada migliaia di
immigrati, il decreto promette sicurezza, ma produce insicurezza. Un
paradossale rovesciamento! Si sono quindi aggiunte alcune Regioni che
del decreto chiedono la costituzionalità.
È questo passaggio,
però, che lascia l’amaro in bocca a chi crede nella politica. Possibile
che tutto debba essere ridotto ad un interrogativo giuridico? Dov’è in
questo paese un’opposizione capace finalmente di reggere lo scontro?
Perché
qui la questione è eminentemente politica. La disobbedienza può dare
voce a quei tanti cittadini preoccupati per l’introduzione di norme che
pregiudicano la convivenza. Si tratta di norme apertamente razziste che
discriminano chi non è italiano, che istituzionalizzano il sospetto
verso i rifugiati (i «falsi profughi»), legalizzano la fobia per gli
stranieri, ufficializzano l’odio per i migranti. A chi è nato altrove
viene negata la residenza, e con ciò anche tutti quei diritti che
dovrebbero essere intangibili, dalle cure sanitarie all’istruzione. Come
se fosse normale lasciare fuori dalla scuola i bambini che avrebbero
l’unico torto di essere figli di immigrati; come se fosse normale non
prestare cure sanitarie a chi ne ha urgente bisogno, per via della pelle
di un altro colore.
Ci sono limiti. I cittadini non sono sudditi e
non possono accettare supinamente una legge che, prima dei limiti di
costituzionalità, ha superato quelli di umanità. Assurdo sarebbe,
semmai, obbedire, avallando quella selezione tra cittadini e immigrati
che assurge ormai a criterio di governo. Inquietanti sono le parole del
vicepremier Di Maio che assicura il reddito di cittadinanza solo per gli
italiani — non per gli stranieri, anche qualora rispondessero a tutti i
criteri (ad eccezione di qualche «meritevole»). Ma con questi gesti
discriminatori si mette a repentaglio la democrazia che vuol dire
uguaglianza.
Dove la difesa dei diritti umani è considerata
eversione, la democrazia rischia il tracollo. Di questo dovremmo
preoccuparci, piuttosto che incolpare altri, dalla piccola Malta (437.00
abitanti), all’Europa, capro espiatorio di questo governo. Quale
immagine dell’Italia viene fuori dal dominante racconto vittimistico? E
ci riconosciamo in quell’immagine? Un paese di grandi navigatori, gente
del mare, che per due settimane lascia in balia delle onde 49 naufraghi?
Non è mai accaduto. Ben venga allora la disobbedienza per denunciare la
bancarotta etica di questa Italia. E chissà quanto profondi saranno i
danni, e quanto duraturi!
Arendt puntava l’indice contro la
meschinità spensierata, la grettezza senza pensieri, diffuse anche nella
democrazia, che vorrebbero imporre a ognuno l’incapacità di «pensare
mettendosi al posto degli altri». Proprio in questa facoltà Kant
riconosceva la base della convivenza civile. Vista così la disobbedienza
è una risposta responsabile.