Repubblica 5.1.19
Gialli d’arte
Un’opera michelangiolesca
Lo strano caso del crocifisso eretico
di Antonio Rocca
La
Crocifissione del Museo del Colle del duomo di Viterbo appartiene a una
fortunata serie, di ascendenza michelangiolesca e nasconde un mistero.
L’iconografia consueta prevede il Cristo vivo in uno sfondo oscuro, al
contrario in questa variante il Salvatore è morto e i tre crocifissi
sono immersi in un paesaggio luminoso. La tavoletta è caratterizzata da
intriganti anomalie e da una complessiva discontinuità stilistica. Il
paesaggio è pregevole, così come la resa dei corpi dei crocifissi, il
volto del Cristo è invece troppo piccolo e quasi giustapposto.
Inoltre
i ladroni sembrano abbandonati ai lati della composizione, mentre la
Maddalena s’inserisce goffamente tra la Vergine e la croce. Anomalo è
poi il perizoma, rosa festoso, del Redentore. Infine stupisce che, in
contrasto con il Vangelo, i ladroni siano ritratti vivi e persino
scalcianti, laddove in Giovanni è scritto che i soldati romani gli
spezzarono le gambe prima di colpire Cristo. Date tali incongruenze e le
cadute stilistiche, la critica più attenta all’estetica e
all’attribuzionismo ha archiviato il dipinto tra le stanche repliche del
modello michelangiolesco, senza prestargli eccessiva attenzione.
Era
invece proprio la serrata trama delle anomalie a suggerire aperture su
scenari inediti, ma a quella crocifissione andava riconsegnato un
preciso orizzonte culturale. Premesso che l’analisi del supporto e dei
pigmenti aveva fornito risultati compatibili con la datazione alla metà
del XVI secolo, e dopo aver assunto come termine di partenza i disegni
preparatori delle crocifissioni realizzati da Michelangelo intorno al
1540, si trattava di chiudere la forchetta temporale stabilendo un
termine ultimo. Il primo passo di questa ricerca è stato fornito dal
paesaggio. Nella campagna viterbese sono riconoscibili le terme romane
del Bacucco, più volte disegnate da Michelangelo.
Alle spalle dei
crocifissi sono visibili le cinque colonne che Alessandro Farnese fece
dislocare prima del 1570. Questa traccia di partenza è stata corroborata
da un altro dettaglio, che aiuta a ridurre il range temporale. Nel 1564
Andrea Gilio nei suoi famigerati quanto influenti Dialoghi, fondamento
teorico dell’intervento che emenda i nudi del Giudizio, chiede che i
ladroni siano raffigurati inchiodati alla croce e non legati con funi,
come ancora appaiono nella Crocifissione viterbese. Non erano prove, ma
indizi convergenti utili a orientare la direzione delle indagini.
Sottoposto a una scansione tridimensionale, il dipinto ha evidenziato
una superficie pittorica discontinua che monta in corrispondenza della
Maddalena, mentre recede all’altezza del volto di Cristo. La Maddalena
risultava quindi una figura posticcia, presumibilmente realizzata dallo
stesso mediocre pittore che aveva ridipinto il volto del Cristo. Come
dimostrato da una radiografia la depressione registrata in quest’area è
determinata dall’assenza dello stato di preparazione. Il volto
originario era stato raschiato e quindi malamente ridipinto. La lettura
di questi elementi ci spinge a pensare che un originario Cristo vivo sia
stato modificato e che la Maddalena sia stata aggiunta per ricentrare
la composizione, marginalizzando i due ladroni. Per quale motivo?
Siamo
in periodo conciliare, il tema della giustificazione per opere o per
fede è rovente anche in casa cattolica, all’interno della quale due
fazioni si confrontano apertamente. La prima guidata da Gian Pietro
Carafa, il cardinale che ha ripristinato la Santa Inquisizione, è
schierata su posizioni rigidissime; la seconda, guidata da sir Reginald
Pole, ha elaborato un manifesto dialogante, il Beneficio di Cristo.
Nel
Beneficio, pubblicato a Venezia nel 1543 ma redatto a Viterbo nel 1542,
si tenta di aggirare la dicotomia tra opere e fede facendo perno sulla
virtù salvifica della Passione. Il cristiano è salvo in quanto ha fede
nella potenza redentrice del Beneficio di Cristo. Dato il contesto si
spiega perché Carafa, divenuto pontefice nel 1555, già nell’anno
successivo decretò che i crocifissi non si dipingessero vivi. Il Cristo
che si rivolge al ladrone buono, salvandolo per sola fede, era divenuto
un’icona insopportabile per lo zelante inquisitore. Se Paolo IV non
poteva emendare Giovanni, poteva però inibire la riproposizione di quel
tema, e così fece. Il valore salvifico e aurorale attribuito alla
Passione dà allora ragione anche di quel perizoma rosa. Quell’elemento è
uno stendardo, quasi un sole nell’alba di una nuova era. La Passione è
prefigurazione della perfetta letizia o, per usare le parole di Vittoria
Colonna, "arra" dell’estremo riso. Versi che ben testimoniano il clima
che si respirava nel cenacolo radunatosi attorno al cardinale Pole negli
anni che precedono il concilio. Il sogno che preannuncia la catastrofe.
La giustificazione per fede fu condannata nel 1546, Vittoria Colonna
morì nel 1547, nel conclave del 1549 Pole mancò l’elezione per un
soffio. Da quel momento l’Inquisizione cancellò ogni traccia
dell’Ecclesia viterbiensis, comunità che vantava tra i suoi membri
Michelangelo e Marcantonio Flaminio. Questa piccola tavola,
sopravvissuta grazie a un intervento censorio, è tutto ciò che resta di
una stagione ricca di speranze.
– L’autore, storico dell’arte, ha pubblicato "Bomarzo" (Gangemi)