sabato 5 gennaio 2019

Repubblica 5.1.19
La battaglia tra sindaci e sceriffo
di Ezio Mauro


Come se si fosse appuntata la stella da sceriffo sul petto (strano che non ci abbia ancora pensato, nell’ansia mimetica dei suoi continui travestimenti securitari) il ministro dell’Interno punta il dito contro i sindaci ribelli al decreto sicurezza che porta il suo nome e li denuncia come «traditori», «amici dei clandestini», rivelando in quattro parole l’ossessione ideologica che lo domina e sovrasta la sua politica.
Chi critica una norma di legge la cui applicazione sta sollevando gravi problemi nelle città italiane è immediatamente un complice del nemico, individuato nello straniero, anzi nel migrante, precipitati entrambi nella categoria del "clandestino", l’intruso inquietante e parassita che minaccia la purezza del popolo italiano. Per questo, dunque, chi protesta è automaticamente un "traditore" degli interessi della nazione, che sono tutt’uno con la linea scelta dal governo e la sua cultura dei respingimenti, dei porti chiusi, dei diritti negati: per i sindaci, spiega rapidamente Salvini, è finita la pacchia.
Di quale "pacchia" sta parlando il ministro?
Sembrano le parole di un alieno davanti alle questioni concrete che il fenomeno migratorio scarica sulle porte dei municipi italiani, non come teoria ideologica o propaganda elettorale, ma col corpo fisico e l’interpellanza morale di persone venute dalla disperazione, cui i sindaci devono rispondere in prima persona, mentre devono rispondere al sentimento d’insicurezza dei loro concittadini.
Salvini doveva prevedere che proprio qui, negli ottomila palazzi comunali d’Italia, la torsione della sua politica sull’immigrazione avrebbe dovuto superare la prova della realtà. Perché il sindaco è oggi il soggetto politico italiano che impersona più di tutti la contraddizione drammatica che la fase impone alla democrazia: è lui chiamato a far fronte contemporaneamente alla domanda di accoglienza e di solidarietà che gli arriva dai migranti, e alla richiesta di tutela che gli giunge dai cittadini che lo hanno eletto.
Sono due interpellanze che nell’Italia di oggi, con il sentimento collettivo che si è insediato nel Paese, appaiono inconciliabili e spingono a politiche opposte, per rispondere a interessi in apparenza divergenti. Una politica degna di questo nome dovrebbe farsi carico di questo problema, cercando di conciliare solidarietà, responsabilità e rappresentanza, invece di scaricarlo irrisolto sulle spalle dei sindaci. Anche perché il problema, oltre che il sindaco, investe addirittura la democrazia: come può dichiararsi insensibile a uno dei due appelli che le vengono rivolti, e rimanere intatta e innocente, anzi con la pretesa dell’universale?
Gli apprendisti stregoni non si sono resi conto di ciò che mettevano in movimento nel substrato profondo del Paese, in termini di coesione morale, di governabilità pratica dei fenomeni, di civiltà e di tradizione. Rimestare nel fondo della pentola diabolica dove cuoce il risentimento del Paese, eccitare gli istinti senza mediarli culturalmente, coltivare le pulsioni per innestare direttamente in politica senza una traduzione istituzionale, può incrementare il consenso a breve, riducendo la rappresentanza a portavoce della paura invece di emanciparla: ma qual è il prezzo?
In realtà nell’antisistema che governa il Paese assistiamo ogni giorno allo scambio tra la domanda politica più impaurita e dunque meno libera e autonoma del decennio e un’offerta politica opportunista, in apparenza radicale perché feroce, ma in realtà minima. I cittadini si sentono esposti e insicuri, e scambiano quote di libertà in cambio di quote di tutela, pretendendo di cancellare (almeno dalla loro vista) la migrazione. Il governo alimenta questo circuito chiuso, favorendo l’equivoco concettuale tra immigrazione, sicurezza e incolumità personale.
Tutto questo — con una ferocia poco italiana di parole, posture e simboli — viene trasportato nella norma di leggi che sanciscono la supremazia dei più forti nei confronti dei più deboli, alla ricerca di un lucro politico immediato, deviando il corso del Paese da quel deposito di ideali, valori e tradizioni che ha dato forma alla civiltà italiana, e ha garantito in ogni caso la libertà della democrazia imperfetta del dopoguerra.
Finché arrivano i sindaci. Perché qualcuno deve mettere in pratica le misure dettate dall’ossessione securitaria, e nel passaggio dall’ideologia alla realtà bisogna fare i conti con i problemi concreti dell’Italia di oggi.
Dove finiranno gli immigrati- fantasma che non possono iscriversi all’anagrafe e che vedono cancellata la protezione umanitaria, nella fretta di sospenderli dall’assistenza sanitaria ma anche dalla ricerca di lavoro con documenti in regola? I tutori della sicurezza cosa rispondono alle previsioni di 600 mila irregolari creati secondo l’Ispi entro il 2020 dal decreto che porta il nome di Salvini? Scrivendo una norma di impianto demagogico ed elettorale non si finisce per favorire il passaggio dei migranti esclusi nella zona d’ombra, creando clandestinità governativa e fabbricando altra paura?
Il sindaco di Palermo chiederà alla Consulta di dichiarare incostituzionale il decreto. Il sindaco di Milano invita il governo a riscriverlo. Il giornale dei vescovi accusa Salvini di fare facile propaganda, scaricando il peso della sua politica sulle spalle di altri. Preoccupato dall’impatto della ribellione dei sindaci, Di Maio ieri ha cercato di distinguersi (a metà) da Salvini sulla chiusura dei porti alle navi ong, aprendo "alle donne e ai bambini". Ma è ormai chiaro che i Cinque Stelle hanno un’uguale responsabilità sulla politica migratoria, difendendo un decreto che diventa la vera cifra di destra — e destra al cubo — di questo governo, e rivelando così la loro vera natura.
Che siano i sindaci a reagire, nel deserto intellettuale italiano, è una conferma della vitalità potenziale della politica cosiddetta dal basso, a contatto con la vita concreta dei cittadini — mentre chi governa invoca il popolo ogni quarto d’ora — e con un’esperienza concreta e costante nel Paese vero, quello delle città, forse l’ultima riserva nazionale dello spirito di comunità civile. È una conferma della differenza tra destra e sinistra, che i grillini considerano superata, mentre sono loro, semplicemente, soggiogati. Ed è infine, e soprattutto, una rivincita del buonsenso governante sul senso comune trionfante e demagogico che soffoca ciò che resta di questo Paese, reso irriconoscibile.