Repubblica 4.1.19
Il Pd di tutti e quello dell’Io
di Roberto Esposito
Da
dove ripartire? E come? Sono queste le domande che aprono il nuovo anno
della sinistra italiana. Il notevole consenso di cui continua a godere
il governo, anche dopo una manovra gonfia di contraddizioni, non crea
una situazione favorevole. Tanto più è necessario evitare di giocare di
rimessa, nell’attesa che l’alleanza di governo si sfaldi da sola. La
sinistra deve elaborare un progetto autonomo, unitario ma articolato. Si
tratta di giocare a tutto campo, mettendo in sinergia i due elementi da
cui è impossibile prescindere. Vale a dire un soggetto nazionale
centrale e un vasto tessuto di alleanze locali che gli comunichino
energia.
Il primo non può essere altro che un Pd rinnovato nella
leadership e nel linguaggio. Si tratta innanzitutto di cambiare
interlocutore, tornando a riparlare al Paese, piuttosto che agli amici. O
ai nemici di partito. L’articolo di Renzi sul Foglio non induce
all’ottimismo. Il proposito di " scrivere una pagina nuova" senza
"dimettersi dall’Io", come scrive, dà l’idea dello stato di malessere di
quello che fino a ieri è stato comunque un leader importante del
partito democratico. Quando invece il problema è esattamente quello di
fuoriuscire da un dibattito interno che va assumendo toni surreali. Per
incunearsi nei tanti spazi abbandonati o compromessi dall’azione del
governo. Possibile, ad esempio, che di fronte alla mortificazione
dell’intero comparto dell’istruzione e della ricerca il Pd non riesca ad
attivare una mobilitazione generale, non solo critica ma costruttiva?
Dal
fronte delle amministrazioni locali — in particolare le città ancora
governate dalla sinistra — vengono segnali più incoraggianti. Quale sia
l’esito del proclamato rifiuto di alcuni sindaci nei confronti delle
parti più inaccettabili del decreto sicurezza, si tratta comunque di una
scossa di cui si avvertiva il bisogno. Esso dice ad alta voce che c’è
un limite. Che non tutto è accettabile. Che neanche le leggi possono
negare l’insieme di valori e convinzioni sui quali si regge una
convivenza civile. Da questo punto di vista i sindaci, legittimati da un
ampio consenso popolare, conservano un ruolo fondamentale che spiega la
relativa prudenza della risposta di Conte. D’altra parte non venne,
venticinque anni fa, proprio dalla " primavera dei sindaci" la prima
riscossa contro il blocco sociale della destra berlusconiana, anche più
compatto di quello attuale?
Certo, la sinistra dei sindaci di
Milano, Napoli, Firenze, Palermo è tutt’altro che omogenea. Come tenere
insieme il riformismo europeo di Sala con il ribellismo mediterraneo di
de Magistris? Cosa hanno in comune, nella loro cultura politica,
Nardella e Orlando? Ma il punto è proprio questo. O si riesce a federare
tale diversità in un progetto comune, oppure nessuna di queste
esperienze avrà la capacità di costituire quella massa critica di cui la
sinistra ha bisogno per uscire dall’angolo. Senza la forza propulsiva
che hanno sempre avuto le città italiane, una sinistra moderna e plurale
non può esistere. D’altra parte la più avanzata di esse non è nata con
Pisapia, e si è sviluppata con Sala, proprio riunendo le diverse anime
della sinistra? Nel declino di Roma, Milano rappresenta qualcosa di più
della seconda città d’Italia. È il simbolo dell’unica sinistra vincente
negli ultimi decenni. Solo allargando il proprio campo, incorporando lo
spirito civico di esperienze che stanno crescendo in diverse città, la
sinistra può tornare competitiva. E solo questa iniezione di energie
nuove può obbligare il Pd ad abbandonare il proprio passatempo
autoreferenziale e ad entrare finalmente in partita.