giovedì 3 gennaio 2019

Repubblica 3.1.19
L’analisi
Il cortocircuito tra i sovranisti e il popolo
di Nadia Urbinati


Il nuovo anno politico porta in dote due tendenze speculari: leader che si dichiarano "popolo" e moltitudini che rifiutano di essere rappresentate come popolo dai leader. Leader e masse in isolamento reciproco. L’Italia è un libro di testo del primo fenomeno. La Francia del secondo. L’Europa che dovrà rinnovare il suo Parlamento è come stretta in una tenaglia: tra leader nazional-populisti e un "orizzontalismo moltitudinario".
Dei due, il secondo è più transnazionale, segno di un malessere sociale accumulato in dieci anni di crisi economica che, per una larga parte della popolazione, ha significato declino e povertà senza speranza di un miglioramento. Entrambi sono segni di perdita di potere della sovranità democratica, un’energia dormiente che nessuna forza politica sa come rappresentare. Nemmeno i populisti onnivori di popolo. Leader e moltitudini viaggiano su binari paralleli in un orizzonte segnato dall’intolleranza per le intermediazioni. Per obiettivi diversi: i leader, per avere mano libera nell’azione politica; le moltitudini, perché non si fidano di chi non è dei loro. La rappresentanza si liquefa in entrambi i casi.
I partiti hanno per alcuni decenni ordinato e finalizzato la partecipazione e la competizione politica. Non parlavano mai direttamente nel nome del popolo, e non avevano alcuna remora a dichiararsi "parte", a voler rappresentare una parte.
Ma il loro essere di parte era in nome di principi che interpretavano la società intera e aspiravano a guidarla in una direzione piuttosto che in un’altra. Un Capodanno dopo l’altro, queste intermediazioni hanno perso credibilità, perché senza principi i partiti sono diventati come fazioni e caste, oligarchie illegittime. Fino a quando la cittadinanza democratica non si è mostrata nella sua nuova veste: con una rappresentanza immediata, fatta o di leader o di gente.
L’Italia e la Francia sono laboratori esemplari. Il nostro paese ha gradualmente metabolizzato la fine dei partiti e la personalizzazione plebiscitaria; e si trova con un governo anfibio: due leader populisti che non possono mai essere certi del popolo che dicono di rappresentare. Lo ha involontariamente confessato Salvini quando ha detto che grazie a lui l’Italia non ha un’insurrezione popolare. Ma il prezzo da pagare è alto per tutti: perché i leader che avvertono i rischi della loro solitudine sono affamati di pubblico, e come cuochi devono sfornare ogni giorno qualche cosa di nuovo e accattivante.
Al di là dell’audience c’è la moltitudine, anche se sembra molto lontana dal generare una forza di rivolta sociale per conquistare lo Stato e cambiare le relazioni di potere. Non c’è la liberazione tra gli obiettivi dei gilet gialli, ma la diminuzione della sofferenza economica e sociale. La Francia che ha atterrato il Partito socialista non ha altro che un presidente "nudo e crudo" e una cittadinanza insorgente che non trova ascolto e usa la violenza come espediente comunicativo.
Il nostro presidente nel messaggio di fine anno ha pennellato questo stato di sofferenza parlando delle periferie urbane come di mondi desolati, dove non ci sono più sedi di partito a unire ed emancipare, e la delinquenza e il sopruso delimitano lo spazio delle scelte individuali e collettive. Senza forze politiche la nostra cittadinanza rischia di essere una finzione, perché diritti e istituzioni non riescono da soli a limitare la diseguaglianza di potere e a creare condizioni di opportunità.