Repubblica 31.1.19
Richieste di aiuto ignorate
L’accusa di aver perso tempo prezioso in attesa che intervenissero i libici
La Guardia costiera nel mirino dei pm per l’ultima strage
Svolta sui 117 migranti morti in mare Ipotesi omissione di soccorso, atti a Roma
di Alessandra Ziniti
SIRACUSA
L’ipotesi di reato è pesante: omissione di soccorso. Per il primo
naufragio nel Mediterraneo del 2019, quello del 18 gennaio in cui hanno
perso la vita 117 persone, nel mirino dei pm finisce di nuovo il Centro
di coordinamento di ricerca e soccorso della Guardia costiera italiana.
Come nel caso della strage dell’11 ottobre 2013, per la quale sono a
giudizio alcuni ufficiali ritenuti responsabili del ritardo nei soccorsi
al barcone pieno di bambini che colò a picco, causando la morte di 268
persone.
Ora la Procura di Agrigento, che indaga sul naufragio al
quale sono sopravvissute solo tre persone, ha inviato il fascicolo, al
momento senza indagati, alla Procura di Roma. Chiedendo di verificare la
sussistenza dell’ipotesi di reato di omissione di soccorso da parte
degli ufficiali che, quel venerdì, furono informati che un gommone stava
affondando da un aereo del 41esimo stormo dell’Aeronautica militare di
Sigonella, che lanciò ai migranti due zattere. Solo diverse ore dopo, un
elicottero partito dal cacciatorpediniere Duilio della Marina italiana
issò con il verricello gli unici tre trovati ancora in vita, due
aggrappati alle zattere, uno in acqua. Ma a scomparire in mare — hanno
raccontato poi i superstiti — sono stati 117 naufraghi, ben di più dei
50 avvistati dall’alto mentre il gommone era già semiaffondato.
Un
numero del quale i sopravvissuti sono assolutamente certi. «I
trafficanti ci imbarcavano a dieci a dieci — hanno raccontato al pm
Salvatore Vella — A 120 hanno dato ordine di partire. In spiaggia sono
rimaste otto donne, che non avevano pagato tutto il biglietto, e che
così si sono salvate».
Ma forse, è il terribile sospetto che
aleggia nella prima ricostruzione dei pm di Agrigento, molti altri
avrebbero potuto salvarsi se i soccorsi fossero arrivati tempestivi. E
invece i migranti, tutti senza salvagente, sono rimasti in mare per ore.
Il naufragio è avvenuto a 50 miglia da Tripoli, in zona Sar libica. Ma
la legge dice che, fino a quando l’autorità Sar competente non assume il
coordinamento dei soccorsi, la responsabilità è di chi per primo viene a
sapere che c’è un’imbarcazione in pericolo. In questo caso, la sala
operativa della Guardia costiera di Roma.
Che, ormai da mesi,
risponde a ogni richiesta di soccorso in arrivo dalla Sar libica dicendo
di rivolgersi ai numeri della Guardia costiera di Tripoli, ai quali non
risponde quasi mai nessuno.
Cosa avvenne veramente nel
Mediterraneo la mattina del 18 gennaio? Com’è possibile che nessuna
imbarcazione abbia raggiunto il gommone a una distanza così breve dalla
costa?
L’unica nave umanitaria presente in mare, la Sea Watch 3,
informata dai piloti del Moonbird ( la Ong dell’aria), chiese subito le
coordinate all’Imrcc Roma, ma non ottenne alcuna informazione. «La
responsabilità del soccorso è di Tripoli», fu la secca risposta. Ma i
numeri della Guardia costiera squillavano a vuoto e nessuna motovedetta
libica ha mai raggiunto quel gommone. Di più: il Moonbird avrebbe visto
una nave mercantile passare nelle vicinanze senza fermarsi. Solo alle
15.02, quando la sala operativa di Roma ha diramato l’avviso "Navitex" a
tutte le imbarcazioni in zona, la Sea Watch ha appreso le coordinate
del naufragio. Ma era a ben 10 ore di navigazione. Quando è arrivata sul
posto era notte fonda, le due zattere gialle vuote, nessuno, vivo o
morto, in vista. Gli unici tre superstiti erano già stati trasportati
d’urgenza a Lampedusa dall’elicottero della Marina che aveva avvistato
anche tre cadaveri.
La Guardia costiera italiana ha messo subito
in atto tutti i soccorsi possibili o ha invece fatto passare tempo
prezioso, negando informazioni alle Ong, in attesa che i libici
assumessero il coordinamento delle operazioni? È questo il delicatissimo
interrogativo al quale dovranno ora rispondere i pm di Roma, con una
indagine che potrebbe mettere a nudo tutte le falle di quel che resta
del sistema dei soccorsi nel Mediterraneo dopo l’istituzione della zona
Sar libica.