il manifesto 31.1.19
Una strage al giorno: nel Mediterraneo sei vittime ogni 24 ore
Africa/Europa.
I numeri choc dell’Unhcr: nel 2018 2.275 migranti hanno perso la vita
in mare, un decesso ogni 14 arrivi per l’assenza di soccorsi. Filippo
Grandi: «Si è creata una corsa tra paesi a non prendere migranti, quasi
una gara contro la solidarietà dettata da motivi politici. C’è
un’atmosfera tossica»
di Adriana Pollice
Attraversare
il Mediterraneo centrale significa affrontare la rotta più letale al
mondo: il tasso di mortalità dei migranti che dalla Libia si imbarcano
verso l’Italia o Malta è più che raddoppiato lo scorso anno, quando le
missioni di ricerca e soccorso delle ong sono state quasi azzerate e
molti Stati hanno cambiato le loro politiche nei confronti dei migranti.
A
certificarlo è il rapporto «Viaggi disperati» pubblicato ieri
dall’Unhcr, l’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni unite. Nonostante il
significativo calo del numero di arrivi nelle coste europee, sono state
circa 2.275 le persone morte o scomparse attraversando il Mediterraneo
nel 2018, un decesso ogni 14 arrivi. Il tasso era uno su 38 nel 2017.
La
traversata verso l’Europa è costata una media di sei vite al giorno. Se
l’Europa si è sottratta, la Guardia costiera di Tripoli ha
intensificato le operazioni: l’85% di chi parte viene riportato in Libia
dove finisce nei centri di detenzione in condizioni terribili. In balia
di milizie e degli stessi trafficanti, sono rinchiusi senza acqua né
cibo per giorni, soggetti a torture, stupri ed epidemie.
Tra il
2017 e il 2018 gli arrivi in Europa sono scesi da 172.324 a 139.300, il
numero più basso degli ultimi cinque anni. I flussi sono cambiati: se in
Italia si è passati da 119.400 a 23.400, sono saliti in Grecia (da
35.400 a 50.500) e in Spagna (da 28.300 a 65.400). Così, nel
Mediterraneo occidentale, i decessi sono cresciuti: da 202 nel 2017 a
777 nel 2018. La politica dei porti chiusi ha anche attivato la rotta
via terra: in circa 24mila sono arrivati in Bosnia-Erzegovina attraverso
i Balcani occidentali.
«Salvare vite in mare non è un’opzione né
una questione politica, ma un imperativo primordiale – ha spiegato
Filippo Grandi, Alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati –
Possiamo porre fine a queste tragedie con un approccio basato sulla
cooperazione e focalizzato sulla vita e la dignità umana». Cioè
l’opposto di quanto successo nell’ultimo anno, con gli Stati europei
impegnati a far valere il proprio interesse.
Il risultato sono
state le navi delle ong bloccate in mare con i naufraghi per lunghi
periodi senza porto di sbarco, in violazione delle norme internazionali.
L’Unhcr sottolinea, poi, che l’intero viaggio per i migranti è «un
incubo» che li espone a torture, stupri e sequestri a scopo
d’estorsione: «Gli Stati devono agire con urgenza per scardinare le reti
dei trafficanti e consegnarli alla giustizia».
Grandi accusa:
«L’afflusso registrato nell’Ue nel 2018 è gestibile. Ci sono paesi in
Africa o in Asia dove 139mila persone arrivano in un mese e ce la
fanno». Secondo Grandi, il dato positivo riguarda i ricollocamenti che,
pure in mancanza di una linea comune, alla fine si ottengono:
«Nonostante lo stallo politico, rispetto all’avanzamento di un approccio
regionale ai soccorsi e agli sbarchi, diversi Stati hanno assunto
l’impegno di ricollocare le persone soccorse nel Mediterraneo centrale,
una potenziale base per una soluzione duratura. Gli Stati hanno inoltre
promesso migliaia di posti destinati al reinsediamento per permettere
l’evacuazione dei rifugiati dalla Libia. L’Italia si è impegnata per 400
e, in parte, è stato questo governo».
Resta da parte dell’Alto
commissario il giudizio negativo sui paesi Ue: «L’Europa può gestire il
fenomeno, ci vuole al più presto almeno un accordo temporaneo tra
volenterosi in modo da poter fare gli sbarchi senza provocare ogni volta
tensioni, senza intossicare il dibattito per fini politico-elettorali».
Per
poi attaccare: «I governi spostano il problema fuori dai loro confini
invece di risolverlo. In Libia i paesi europei hanno rafforzato solo la
Guardia costiera, perché questo contribuisce a ridurre gli sbarchi, ma i
migranti salvati entrano nel circolo vizioso dei centri di detenzione
in condizioni orribili».
E ancora: «Bisogna intervenire su tutto
il contesto libico in modo che anche lì queste persone possano essere
gestite in maniera umana». Sulle ong: «Rifiuto le accuse mosse loro. La
capacità di salvataggio di ong e privati deve essere mantenuta, non può
essere vista come un fattore che incentiva le partenze. La presenza di
queste navi nel Mediterraneo centrale si è ridotta da 10 a 2 ed è stata
una delle cause dell’aumento del tasso di mortalità».
La
conclusione è amara: «Si è creata una corsa tra paesi a non prendere
migranti, quasi una gara contro la solidarietà dettata da motivi
politici interni. Non vedo la volontà di risolvere i problemi, c’è
un’atmosfera tossica».