Repubblica 2.1.19
Kenneth Branagh "Folgorato dal Bardo a 16 anni e finalmente oggi lo interpreto"
Intervista di Silvia Bizio
Irlandese,
59enne, è considerato uno dei più grandi attori shakespeariani viventi.
Oggi (ri)porta la sua passione al cinema con "All is true", che dirige
anche e in cui recita accanto a mostri sacri come Judie Dench e Ian
McKellen
LOS ANGELES A16 anni feci l’autostop per
andare da Belfast a Stratford-upon-Avon e scoprire Shakespeare: da
allora non mi sono più separato da lui». Per Kenneth Branagh l’amore per
il Bardo è la storia della sua stessa vita, da quando era un
adolescente curioso e con la passione della recitazione, fino a oggi: 59
anni, cinque volte candidato agli Oscar, è considerato uno dei più
grandi attori shakespeariani viventi, il degno erede di Sir Laurence
Olivier. Branagh torna al cinema con All is true — che ha anche diretto —
in cui interpreta proprio William Shakespeare negli ultimi anni di
vita, quando, dopo il rogo che rase al suolo il Globe Theatre nel 1613
proprio nel bel mezzo dell’Enrico VIII, tornò a casa a Stratford a
vivere con la moglie Anne Hathaway, nove anni più anziana di lui
(interpretata dalla divina Judi Dench), e la figlia (sopravvissuta alla
morte a soli 11 anni del gemello Hamnet, adorato dal padre). Il grande
attore shakespeariano Ian McKellen è il duca di Southampton, a detta di
molti innamorato — ricambiato — di Shakespeare. Abbiamo incontrato
Kenneth Branagh a Los Angeles per il lancio del film in previsione della
corsa all’Oscar.
Possiamo considerare "All is true" il culmine del suo amore per Shakespeare?
«In
parte sì, perché stavolta mi calo nei suoi panni. Sono nato a Belfast,
nell’Irlanda del Nord, e a 16 anni invece di andare a Londra come
facevano tutti i miei coetanei, mi diressi a Stratford. Al Globe c’era
una rappresentazione della Royal Shakespeare Company. Non potevo
perdermela. Ci arrivai in autostop, un viaggio per me epico,
dall’Irlanda all’Inghilterra. Mi segnò sia il tragitto che l’"incontro"
con Shakespeare. Ne rimasi posseduto».
L’esplorazione del luogo ha ispirato il film?
«Sì,
fin da allora mi aggiravo per Stratford cercando di dare un volto reale
a Shakespeare: che possedeva case, era una persona vera, non una figura
leggendaria come alcuni ritengono. Volevo scoprire come quei luoghi e i
suoi abitanti avessero ispirato il suo lavoro».
L’incendio del Globe segna l’inizio di un rapido declino, giusto?
«Da
lì siamo partiti. Un momento traumatico per lui, che morirà tre anni
dopo. In seguito al rogo ci sarebbe stato il famoso incontro con l’altro
drammaturgo Ben Jonson. Si ubriacarono al punto che Shakespeare si
ammalò e morì. Ma è una delle tante dicerie a proposito di Shakespeare».
In una bellissima scena, lei e McKellen declamate entrambi un sonetto di Shakespeare: quasi una sfida di grande recitazione.
«Sapevamo che sarebbe stata magnifica. Lo sceneggiatore Ben Elton ha fatto un grande lavoro.
Quella
scena riassume l’arco esistenziale di un eterosessuale e padre di
famiglia, che scopre tante cose di se stesso mai immaginate. E tutto in
un sonetto recitato da Ian che ha una voce straordinaria: sarebbe
piaciuto molto a Shakespeare. Ian canta senza musica. Lo guardavo, e
imparavo».
E poi c’è la signora del teatro britannico: Judi Dench. Com’è stato essere suo marito?
«Divertente.
La vera Anne era più vecchia di William. Ora, non voglio rivelare l’età
di Judi, ma insomma tutti sanno che è più grande di me.
Del resto
abbiamo passato anni in cui sullo schermo veniva rappresentata la
disparità di età con un lui molto più anziano di lei. A Judi piacciono
le sfide, e a me pure.
La nostra amicizia trentennale avrebbe di sicuro contribuito a dare un sentore di vita domestica nel film».
Quanto c’è di vero nella misteriosa morte del figlio di Shakespeare, Hamnet?
«Abbiamo
molte certezze su alcuni fatti capitati a Shakespeare, ma su Hamnet non
esiste un atto pubblico. Solo cinque bambini morirono quell’estate, e
tre erano neonati. Non c’erano epidemie in quella zona. E le ipotesi
sulla morte del bambino vengono dagli stessi drammi del Bardo. Sui
gemelli ne ha scritti una mezza dozzina, altrettanti su bambini che
muoiono. Pensi ad Arthur in King John. O a momenti in drammi come
Winter’s tale, La tempesta, Cimbelino, Pericle, principe di Tiro tutti
su bambini, a volte gemelli, persi. E la magia viene spesso usata alla
fine per dare un attimo di sollievo. Insomma senti tutta la disperazione
di un padre che ha perso un figlio».
Cosa pensa delle "teorie della cospirazione" intorno a Shakespeare? Che fosse solo un prestanome e così via?
«Non ci credo. Son tutte cretinate.
Ci
sono molte persone colte e intelligenti che hanno dedicato tempo per
capire la verità sul drammaturgo. Io mi considero aperto mentalmente, ma
finora non ho trovato prove che confermino la non esistenza di
Shakespeare. Ma è un soggetto affascinante. Confesso di essermi molto
divertito guardando Anonymous (il film di Roland Emmerich del 2011, ndr)
».
La preoccupa la Brexit?
«Molto. Sono pro Europa e credo
in confini più aperti. Ascolto tutti e so che in molti non sono
d’accordo col distacco dalla EU. E tuttavia un voto c’è stato. Si
respira un’atmosfera di incertezza e confusione. Si litiga troppo, lo
stesso succede in altri paesi europei: questo mi preoccupa ancor di
più».